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15 persone ad ascoltare il ministro Poletti alla Festa dell’Unità. A Modena

Il ministro del lavoro Giuliano Poletti arriva al Nazareno per il seminario PD ''Non è una pensione per giovani. Rapporti tra generazioni e riforma del sistema previdenziale'', Roma 17 Luglio 2017, ANSA/GIUSEPPE LAMI

C’erano 15 persone, forse 18, ad ascoltare il ministro Giuliano Poletti alla Festa dell’Unità a Modena. Quindici persone in una delle zone da sempre floride per il partito che fu e che oggi si sbriciola sotto i colpi del renzismo e del nuovo corso che tende a destra.

Ma soprattutto il vuoto in platea per il ministro Poletti è la cartina di tornasole di un ministro che per mesi si è divertito (che si sia divertito, almeno questo) a prendere per i fondelli qualche migliaio di giovani con battute che non hanno fatto ridere nessuno: dai giovani che emigrano perché non hanno voglia di lavorare fino al consiglio di “giocare a calcetto” con le persone giuste il ministro ha dimostrato di avere un atteggiamento altezzoso, irrispettoso, stomachevole e distante dalla realtà.

Il video è stato condiviso da La Presse Modenese (qui)

In un Paese normale un’occasione come questa sarebbe motivo di riflessione profonda. Un ministro che “a casa sua” viene accolto con lo stesso entusiasmo di un frigorifero all’Antartide dovrebbe essere un segnale significativo.

E invece niente.

Vedrete, niente.

Buon venerdì.

Brotini, Cgil: «I dati Istat? Ma è solo lavoro a termine e non cambia nulla per i giovani»

Manifestazione dei precari Istat a margine della direzione del Pd al Centro Congressi di via Alibert, Roma, 13 febbraio 2017. ANSA/ANGELO CARCONI

«Renzi può dire quello che vuole, ma più che occupazione si è creata precarietà», commenta così Maurizio Brotini, segretario Cgil Toscana il fiume di reazioni positive che i dati Istat sull’occupazione hanno generato. I dati raccolti dall’istituto segnalano infatti che gli occupati superano per la prima volta dalla crisi del 2008 i 23 milioni: in un anno si sono creati 294mila posti di lavoro in più. A luglio 2017, 23.063 persone risultano essere occupate, nonostante il tasso di disoccupazione a luglio sia salito all’11,3% con un aumento dello 0,2 punti percentuali da giugno.

Subito sono scattate le reazioni positive da parte del governo. Matteo Renzi scrive: «+918mila posti lavoro da febbraio 2014 a oggi. Il milione di lavoro lo fa il Jobs Act», mentre il Ministro del lavoro Giuliano Poletti esulta: «si tratta di un altro passo nella giusta direzione, che ci avvicina ai livelli pre-crisi». Ma Maurizio Brotini ammonisce: «il lavoro che si è creato è tutto a termine. Ad esempio nel gennaio-giugno 2016-17 ci sono state 1 milione 563mila cessazioni a tempo indeterminato e 2 milioni 351mila a tempo determinato e abbiamo avuto 149mila di differenziale tra assunzioni e cessazioni a tempo indeterminato. Sono quindi cessati 790mila contratti a tempo indeterminato e son stati attivati 640mila contratti a tempo indeterminato, quindi siamo a meno 149mila».

«Sostanzialmente – continua Brotini – non si crea occupazione stabile, ma si ridistribuisce al ribasso l’occupazione che già c’è». Il contratto a tempo determinato viene infatti favorito dalle aziende, dato che sono stati eliminati gli incentivi per i contratti a tempo indeterminato. «Ovviamente per il datore di lavoro è più conveniente continuare a fare contratti a tempo determinato – dice Brotini – una volta questi ultimi si potevano considerare un ingresso nel mondo del lavoro, ma ora non è più così: ci sono milioni di persone che lavorano da anni continuativamente con il rinnovo di contratti a tempo determinato».

Un dato preoccupante tra quelli raccolti dall’Istat è quello riguardante la disoccupazione giovanile, che tocca il tasso del 35,5%.  Brotini a questo proposito è deciso: «Non si crea lavoro per i giovani, non c’è un turnover dei lavoratori: non si crea ricambio, le persone non vanno in pensione e non si assumono giovani lavoratori. E se gli unici contratti che vengono offerti, specialmente ai giovani, sono a tempo determinato non cresce l’occupazione, cresce solo il lavoro povero e di conseguenza i precari».

Sul tema del lavoro sempre più dequalificato e a termine aveva scritto Simone Fana il 29 luglio su Left.

Quei borgatari in camicia nera con il mito di Alba dorata

ROME, ITALY - JUNE 30: Italian far-right movement CasaPound, protest and asks the closure of The Centre for migrants transiting "FRANTOIO" run by the Red Cross to the District Tiburtino III. The center hosts 85 migrants on June 30, 2017 in Rome, Italy. Anti-fascists and migrants have manifested in defense of the center of the Red Cross (Photo by Stefano Montesi - Corbis/Corbis via Getty Images)

Dicembre 2016. Un gruppo di abitanti delle case popolari impedisce fisicamente a una famiglia marocchina (con tre bambini: uno, quattro e sette anni) di accedere all’appartamento a loro regolarmente assegnato. Tra le urla, «qui non vogliamo negri», «tornate a casa col gommone». CasaPound, con il vicepresidente Simone Di Stefano, prende subito posizione: «Solidarietà incondizionata a quegli italiani che non si arrendono nei quartieri». Trullo, zona a sud-ovest, 23 gennaio 2017. Parte opposta della Capitale, medesima situazione. Una famiglia egiziana, cinque figli, si prepara ad accedere alla casa Ater (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale del Comune di Roma) che gli spetta, dopo lo sgombero della giovanissima coppia italiana che la occupava. Lui ventenne precario, lei 17enne incinta. Ma un picchetto impedisce l’assegnazione. A prendervi parte anche Forza Nuova e CasaPound con le rispettive ali popolari: Roma ai romani e Casa agli italiani. «Abbiamo deciso di agire di forza, facendo rientrare la famiglia italiana e barricandoci nella casa» chiariscono in una nota congiunta. Per finire, Tor Bella Monaca, 17 giugno. Dulal Howlader, 52 anni, di origini bengalesi ma con cittadinanza italiana, cardiopatico. Dopo cinque anni di attesa va a conoscere il palazzo dove gli è stata assegnata una abitazione. Chiede informazioni a quattro ragazzi, ma la loro risposta è netta. «Negro, vattene via, qui non c’è posto per te. Qui le case sono tutte occupate». Poi botte, e una ginocchiata alla schiena che lo atterra. Dulal sporge denuncia, ma rinuncia all’appartamento. Preferisce cambiare zona, lì è troppo pericoloso. Persino il poliziotto che raccoglie la denuncia conferma, «se ci vai a vivere, quelli ti ammazzano». Tre episodi di razzismo, nei quali le vittime sono state costrette a ripiegare su altre zone della città in cui vivere. Tre sconfitte dello Stato, dunque, incapace di fornire una risposta istituzionale seria alle insurrezioni xenofobe, che non sia quella dell’individuare una abitazione alternativa. Ma, innanzitutto, tre vittorie importanti per la galassia dell’ultradestra italiana che ha scelto di investire forza ed energie in una pratica, quella della lotta per la casa, tradizionalmente di sinistra, declinandola però in chiave razzista. Ma non è questa l’unica novità. Per capire quale sia la ricetta politica che i neofascisti hanno adottato per incassare consensi in periferia, manca ancora un ingrediente. Tiburtino III, 30 giugno. La “strana” associazione Tiburtino III millennio, legata in modo ambiguo a CasaPound organizza un corteo per la chiusura del presidio umanitario della Croce Rossa di via del Frantoio. È una battaglia che porta avanti da mesi, sempre sotto il vessillo dell’apoliticità. Ed è solo uno tra i comitati che si muovono in questo modo. Ora l’impasto è chiaro. Lotta per la casa agli italiani e aggregazione all’interno dei comitati cittadini: è intorno a queste due pratiche che l’estrema destra ha scelto di giocare la sua partita.

Non si tratta però di una invenzione italiana. Guido Caldiron, giornalista e autore di Estrema destra, l’ha battezzata «modello Alba dorata», formazione ellenica con la quale peraltro CasaPound e Forza Nuova hanno ormai rapporti consolidati. Prevede un impegno parallelo, giocato di sponda, tra intervento sociale (si pensi alla distribuzione di generi di prima necessità di Alba dorata ai greci poveri) e lotta all’«invasione degli immigrati», per speculare su una guerra fra poveri. Solo cogliendo entrambe i lati di questa “medaglia nera” si capiscono i progetti odierni dei nostalgici del Ventennio.

Monitorare il territorio, cercare un pretesto – casa, immigrati, roghi tossici – formare in fretta e furia un’associazione o un comitato di quartiere e creare una pagina Facebook. La strategia è ormai rodata: «Voi avete i problemi, noi siamo qui per risolverli e lo faremo insieme». Le piccole e grandi proteste che hanno animato le periferie romane degli ultimi anni hanno avuto alle spalle sempre comitati popolari. Complici la pressione della crisi economica e il disinteresse dei principali partiti politici, le destre hanno iniziato a soffiare sul malcontento dei quartieri più marginali, spronando i residenti a ribellarsi alla propria condizione e coniando un gergo bellico: «Resistenza nazionale», «fronte patriottico», «sostituzione etnica». Comitati tutti rigorosamente “apolitici”, ma solo a parole. Se si analizza l’iconografia di alcuni di essi, se ne ascoltano le parole d’ordine, si studiano le pratiche, emergono le loro idee.

Il “fascio-font” (il tipico carattere grafico nero, stile Ventennio, utilizzato sui manifesti), l’alloro, il moschetto e il tricolore sono tra i simboli di riconoscimento dell’associazione Tiburtino III Millennio nel IV municipio. Un’allusione trasparente ai militanti di CasaPound a cui piace essere chiamati “fascisti del terzo millennio”. Nel comitato ci sono inoltre volti noti di CasaPound, come Mauro Antonini, candidato alle elezioni del 2013 e del 2016 al municipio.

Tiburtino III, quartiere dormitorio dominato da cemento, incuria e spaccio, ospita tre centri di accoglienza. Degrado e immigrazione (messi sullo stesso piano) sono stati i temi dell’associazione che è scesa in piazza più volte per chiederne la chiusura. Mancano case e luoghi di aggregazione, perché quindi lasciare agli immigrati gli stabili vuoti? Il coro «Difendiamo la nazione non vogliamo immigrazione» racchiude l’anima razzista dell’ultima protesta organizzata dal comitato il 30 giugno, contro la proroga comunale di sei mesi al presidio umanitario della Croce Rossa in via del Frantoio, una struttura osteggiata sin dalla sua apertura nel 2015. Ma pochi giorni fa c’è stata una grande vittoria per il comitato: la recente chiusura dei due Sprar.

A Roma ovest, nel XIII municipio, decoro e italianità sono le parole d’ordine del comitato “Fenix 13”, che come simbolo ha l’aquila imperiale. Il suo presidente è Simone Montagna, esponente di spicco di CasaPound e cantante dei “Bronson”, band punk hardcore formatasi proprio intorno al movimento di estrema destra. Fenix 13, con pratiche e vocabolario simili a quelli di Tiburtino III Millennio, si è intestato la chiusura del Centro Enea, che accoglieva 400 migranti a Casalotti, periferia ovest di Roma. Anche a Infernetto, “gli italiani che non si arrendono” hanno trovato voce nel Comitato per la “Difesa del X municipio”, che come simbolo ha uno scudo crociato. Luca Marsella è il responsabile di CasaPound presente nel gruppo ed è lo stesso che lo scorso 8 luglio ha guidato l’azione anti-(immigrati) abusivi di CasaPound sulle spiagge di Ostia.

Roma ai romani, coordinamento di lotta popolare, è il nuovo giocattolo di Giuliano Castellino. Un comitato di estrema destra per il diritto all’abitare, che scimmiotta e reinterpreta le parole d’ordine dei movimenti di lotta per la casa. Il noto esponente dei gruppi neofascisti romani, ad oggi responsabile politiche sociali di Forza Nuova, è il punto di raccordo con il passato. Un’opera di traslazione: dai vecchi organigrammi dell’organizzazione si passa istantaneamente ad un nuovo vocabolario. «Ogni sgombero sarà una barricata! Roma ai romani, case agli italiani!» e la chiara adesione ai codici e alla simbologia del fascismo. Le Fac (Famiglia azione casa) balzate agli onori della cronaca per gli scontri del 22 novembre scorso al Campidoglio, con gli inquilini del residence di via Giacomini sotto sfratto, sono state il primo esperimento forzanovista da cui prenderà poi vita il coordinamento di lotta popolare. Forza Nuova infatti è il partito, e la neonata creatura di Giuliano Castellino è “l’ala popolare”.

Un mix di propaganda complottistica – “la sostituzione etnica” è la purezza romana -, «regolari dal 753 a.C» con un attivismo sfrenato «al fianco degli italiani». Il 28 gennaio 2017 Roma ai romani occupa la sede dell’Ater richiedendo l’abolizione della delibera 117 con cui la Giunta Capitolina approvava l’istituzione di un tavolo cittadino per l’inclusione dei rom, sinti e camminanti. Dopo i fatti del Trullo, la radicalizzazione delle pratiche è immediata. «Ormai siamo ospiti (indesiderati?) a casa nostra […] Continuano quindi le politiche anti-italiane della Giunta Raggi. Noi siamo pronti a organizzare la lotta contro chi vorrebbe sostituire il popolo romano con immigrati provenienti da ogni angolo del globo» scrive Roma ai romani.

Non solo picchetti anti-sfratto e ronde vecchio stile, il 21 marzo alcuni militanti occupano una palazzina in zona Trionfale per impedire che lo stabile venga convertito in centro di accoglienza. «Gli italiani stanno alzando la testa, ribellandosi ad un sistema che antepone gli immigrati alla dignità e ai bisogni dei nostri connazionali» è il commento di Roberto Fiore, segretario nazionale di Forza Nuova.

E ancora – con gli eventi di Tor Bella Monaca e la manifestazione dell’11 luglio annullata dalla questura, lo sgombero della sede di viale dell’Archeologia e il presidio antifascista -, la retorica della vittima e la fantomatica «rivolta di popolo contro i traditori della patria» irrompono nel resoconto del coordinamento popolare. «La gente è scesa in strada per protestare contro l’ingiustizia. Immediata la risposta dei militanti di Forza Nuova e Roma ai Romani, che, insieme ai residenti, hanno dato vita a violenti scontri, mettendo in fuga gli antagonisti, letteralmente cacciati dal quartiere».

Sarà il sindacato Usb a chiarire la dinamica dei fatti – un manipolo di militanti dell’estrema destra respinti dagli attivisti antifascisti del quartiere – ribadendo che «le frange di estrema destra si offrono come strumento di “distrazione di massa”: la colpa è dei migranti e non, per esempio, del fatto che il governo ha appena destinato alcune decine di miliardi al salvataggio delle banche mentre non investe un soldo nel risanamento del patrimonio immobiliare pubblico e lascia nell’abbandono le periferie come Tor Bella Monaca.

Il reportage è stato pubblicato su Left n. 29

Su www.left.it è possibile acquistare la copia digitale (2€)


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Nuova Internazionale sciita: il ruolo di Hezbollah (secondo il NYT)

epa06046021 A Hezbollah member holds a portrait depicting Hezbollah leader Sayyed Hassan Nasrallah as he stands in front of a replica of the Dome of the Rock during a rally to mark Al-Quds (Jerusalem Day) in a suburb of Beirut, Lebanon, 23 June 2017. In a televised speech, Hezbollah leader Nasrallah spoke about the Palestinian and Arabic situations. Many Muslim countries mark Al-Quds day, an annual day of protest decreed in 1979 by the late Iranian ruler Ayatollah Khomeini, on the last Friday of the holy month of Ramadan. The day is celebrated in a move to express support for the Palestinian people and their resistance against Israeli occupation. EPA/WAEL HAMZEH

L’Iran sta per riscrivere le mappe del Mideast, del Medio Oriente, come lo chiamano gli Stati Uniti, grazie a una potenza in particolare: Hezbollah. L’anno di fondazione dell’organizzazione risale intorno al 1980 e il motivo della loro nascita era legato ad una causa sola: combattere l’occupazione israeliana del Libano meridionale. Per tre decenni non si sono dedicati ad altro. «Ma oggi il Medio Oriente è cambiato e quindi anche Hezbollah è cambiata», scrive il New York Times.

Hanno espanso il loro quadro geografico operativo, hanno spedito legioni di combattenti in Siria, istruttori in Iraq. Hanno aiutato i ribelli in Yemen. Hanno organizzato battaglioni di militanti dell’Afghanistan che possono ora combattere praticamente ovunque. Molto si è scritto dei foreign fighters che si univano allo Stato islamico, «meno attenzione è stata prestata alle operazioni che addestravano e sviluppavano una rete di combattenti nel mondo sciita». In Iraq e Iran sono state utilizzate truppe reclutate tra i rifugiati, in una milizia chiamata Brigata Fatemiyoun, che agiva addestrata da hezbollah e con la logistica iraniana. Fervore ideologico e mille dollari al mese, questi gli ingredienti secondo il NYT. «L’Iran ha attirato combattenti con appeal and cash, fascino religioso e contanti, un’effettiva jihad contro l’altra. Philip Smyth, esperto di milizie dell’università del Maryland, ha detto che c’erano 10mila iracheni in Siria per la battaglia di Aleppo, un migliaio di altri paesi».

«Il risultato è che Hezbollah ora sono un importante strumento per la supremazia regionale dello stato che li supporta: l’Iran». Il gruppo di miliziani sciiti libanesi sono coinvolti ormai in quasi tutti i conflitti che riguardano l’Iran e hanno aiutato a reclutare, addestrare e armare nuovi gruppi che potrebbero rivelarsi utili all’agenda della potenza di Tehran. Eppure, internazionalmente, il loro potere non è riconosciuto.

Iran – paese persiano in una regione araba – e Hezbollah sono complementari potenze sciite in un mondo sunnita e i secondi, che parlano la lingua dei nemici, aiutano i primi ad integrarsi in un universo che si esprime, opera, combatte solo in lingua araba. «Per gli hezbollah l’alleanza vuol dire servizi, network, tecnologia, salari, ospedali, scuole e ovviamente armi. È stato il network di Hezbollah a cambiare i conflitti», scrive Ben Hubbard e «in Siria, le milizie hanno appoggiato Assad, in Iraq combattono combattono lo Stato Islamico, in Yemen hanno preso la capitale e trascinato in un pantano l’Arabia Saudita».

Sulla linea di fuoco siriana c’erano loro, insieme ad afghani, pakistani, iracheni, mentre la testa che guidava la battaglia era iraniana. Il preludio di collaborazione tra i libanesi e gli iraniani risale all’invasione dell’Iraq nel 2003, quando la potenza sciita a due teste ha ucciso centinaia di americani e di divise irachene, ma sono state le guerre recenti che hanno incendiato la mappa del mondo arabo a far allargare la loro sfera d’influenza. «Adesso molti si chiedono che ne sarà di tutti questi miliziani addestrati alla battaglia e i leader di Hezbollah hanno risposto che saranno dispiegati contro Israele, ma è stata l’aura di influenza di Tehran a farli diventare un target di Arabia Saudita, Israele e Stati Uniti, che da sempre li hanno bollati come un’organizzazione terroristica». Quando hanno chiesto al Libano di fix, di risolvere il problema, Alain Aoun, membro del parlamento e del partito del presidente, ha risposto che sono stati proprio USA e Israele ad aiutarli a crescere. «Tutti questi Paesi hanno contribuito per 30 anni ad alimentare il loro potere, ora dicono “andate e risolvete il problema”, ma è un problema più grande di noi».

Salvini, il paladino contro le ingiustizie, chiede “buonsenso” sui 49 milioni che la Lega deve restituire agli italiani

Federal Secretary of Lega Nord (North League) Italian party, Matteo Salvini, during his visit at the "Punta Canna" beach establishment in Chioggia, near Venice, northern Italy, 18 July 2017. Venice Prefect, Carlo Boffi on 10 July signed an order for the beach establishment to 'immediately remove all references to Fascism on signs, posters and banners'. The move comes after reports of images sympathetic to Fascism and Benito Mussolini at Chioggia's Punta Canna establishment caused a furor. ANSA/ALESSANDRO SCARPA

Che tenero personaggio è il Matteo Salvini capofila della Lega Nord (che è anche “Centro”, “Sud” e “Isole comprese” pur di rimediare qualche voto in più): issatosi sulla montagna dei paladini in difesa dell’Italia passa tutto il giorno con la calcolatrice in mano per fare da conto degli spicci che ci costano tutti quelli che hanno un’epidermide che si discosta dalla sua e veleggia fiero sulla sua promessa di “fare pulizia”, di “mandarli tutti a casa” (sì, lo so, l’abbiamo già sentita) e di combattere chiunque distragga risorse “degli italiani” che devono andare “prima agli italiani” (anche se, in qualche caso, lo slogan cambia con “prima i lombardi” in Lombardia, “prima i veneti” nel Veneto e “prima quelli che hanno il cognome che inizia con s” nelle sue riunioni di condominio).

Insomma Salvini vorrebbe essere il custode del “tesoretto italiano”, unico affidabile (secondo lui) sulla piazza. E allora mettiamoci le mani dentro le capacità di tesoreria di Matteo e del suo partito: il 24 luglio il tribunale di Genova ha condannato per truffa ai danni dello Stato il fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, e l’ex tesoriere del partito, Francesco Belsito, oltre ad altri tre dipendenti del partito e due imprenditori coinvolti nello scandalo dei rimborsi falsi che nel 2012 coinvolse la Lega. Ma c’è dell’altro: il tribunale ha deciso di procedere alla confisca di 49 milioni di euro al partito, come risarcimento per i rimborsi ingiustamente riscossi nel periodo 2008-2010. 49 milioni di euro. Semplificando: la Lega Nord ha indebitamente incassato, grazie a rendiconti irregolari, 49 milioni di euro, soldi degli italiani. Mica le coop o i buonisti, no: la Lega Nord.

Farebbe già ridere così (Salvini che si straccia le vesti per la notizia falsa dei 35 euro ai rifugiati e intanto sta seduto su un malloppo degno della Banda Bassotti) se non fosse che Matteo, che ama da sempre interpretare tutte le parti in commedia, in queste ore si sta sperticando in un’autodifesa che ha del patetico. Il contrappasso del gladiatore che diventa pecorella da fuori dà sempre una certa soddisfazione, del resto.

Prima parla di “sentenza politica” (“ci vogliono eliminare”, tuona dalle pagine di tutti i quotidiani) confermando la tesi per cui improvvidamente si giudica un reato in base a chi lo compie e poi, addirittura, riesce a parlare di un danno economico di cui la Lega Nord “è vittima”. Capito? Un po’ come i ladri che si lamentano di essersi presi un ceffone, come scriverebbe un Sallusti qualsiasi. Anche se proprio la Lega si è “dimenticata” di costituirsi parte civile al processo. Sbadati che sono. In compenso chiede “buonsenso”. Salvini. Buonsenso.

Poi va oltre: dall’alto della sua purezza (perché chi vuole pulizia deve per forza considerarsi pulito, evidentemente) si è preoccupato di “nascondere” i soldi come una Ong qualsiasi (come scriverebbe un Feltri qualunque). Il meccanismo lo spiega benissimo Bechis su Libero di ieri:

«Grazie a un’ idea avuta un paio di anni fa e che è diventata un fatto compiuto proprio durante il 2016: i flussi finanziari della Lega non sono più centralizzati, ma sono diventati federali e posseduti dalle strutture regionali o parzialmente regionali che hanno propria autonomia giuridica (alcune nate anche solo recentemente) e finanziaria e che quindi assai difficilmente potrebbero essere coinvolte nei sequestri».

Serve aggiungere altro?

Buon giovedì.

Convegno su Salò nella sala “Allende”? Si, grazie al comune targato Pd

Fonte: Wikimedia Commons

Una sala comunale intitolata a Salvador Allende concessa per tenere un convegno sulla “Storia della repubblica sociale” a cura degli estremisti di destra di Forza Nuova, e dell’associazione Nuove Sintesi. Succede nel comune di Nereto, un centro di poco più di 5000 abitanti in provincia di Teramo, in Abruzzo. Piccolo particolare: l’amministrazione è guidata dal Pd.

Una decisione piuttosto scellerata, che sta scatenando polemiche sul web. A segnalare per primi il caso su Twitter è stato l’account del collettivo di scrittori emiliani Wu Ming.

«Presentare la storia della Rsi in una sala dedicata ad Allende dimostra che la legge del karma esiste», è uno dei primi commenti online evidenziati dagli scrittori. E poi: «E la prossima tappa dovrà essere la presentazione del libro nell’aula del Senato dedicata a quel criminale comunista di Carlo Giuliani». Peccato che non esista alcuna aula intitolata a Giuliani presso palazzo Madama: si tratta di una bufala, una fra le tante che si circolano nel web.

 

Al gruppo di Nuove Sintesi pare che la sala fosse già stata concessa in passato, lo scorso sabato 14 Gennaio, come si evince da una locandina.

Ma non è la prima volta che le strade di simpatizzanti e dirigenti del Partito democratico si incrociano con quelle di estremisti di destra e “fascisti del terzo millennio”.

 

 

 

Ne abbiamo parlato in Left n.29 del 22 luglio 2017, nel quale riportiamo una infografica basata sul lavoro di raccolta di questi episodi curato sempre dai Wu Ming, e frutto di un ricerca collettiva su Twitter, all’interno dell’articolo “Il Pd si è perso l’antifascismo per strada”. La ripubblichiamo, per l’occasione.Nella serata di ieri, è arrivata la smentita dall’account Facebook del Comune di Nereto: «…Si precisa che la notizia è del tutto priva di fondamento perché la Giunta Municipale non ha mai assunto decisioni in merito perché non ha mai ricevuto da parte di tale forza la richiesta dell’utilizzo della sala e che non sono state date e non saranno date strutture pubbliche per manifestazioni di apologia neofascista».

https://www.facebook.com/comunedinereto/posts/1529490370406318

 

In passato però, stando a varie locandine reperibili online, non solo la sala “Salvador Allende” sarebbe stata concessa dal comune a guida dem alla formazione di estrema destra, ma l’amministrazione avrebbe anche concesso loro il patrocinio.

Si veda questo flyer relativo al 2015. Il tema dell’incontro era il famigerato Piano Kalergi, un’altra nota bufala razzista, secondo la quale esisterebbe un complotto europeo finalizzato al genocidio programmato dei popoli europei.

 

 

 

Articolo aggiornato il 31 agosto 2017, alle 13.30

 

Per i rifugiati di piazza Indipendenza ancora nessuna soluzione

Una delegazione di migranti in prefettura per l'incontro con il Prefetto di Roma e la sindaca, Virginia Raggi, dopo lo sgombero di via Curtatone a Roma, 30 agosto 2017. ANSA/CLAUDIO PERI

Le immagini del violento sgombero del 24 agosto scorso hanno fatto il giro del mondo, ma per i rifugiati eritrei che vivevano nello stabile occupato di via Curtatone non c’è pace: dal 19 agosto continuano infatti a dormire per strada.

Oggi alle 12 si è tenuto il tavolo di discussione in Prefettura insieme ai rappresentati di Regione e Comune durante il quale si sarebbe dovuta trovare una soluzione per gli sgomberati. Purtroppo però l’esito è stato negativo: nessuna soluzione per i rifugiati di piazza Indipendenza, a cui vengono proposti solo un numero esiguo di posti in centri di accoglienza per donne incinta e bambini. «La posizione del Comune è molto chiara, noi sul tema dell’emergenza abitativa dobbiamo dare priorità a chi sta aspettando una casa da decenni», ha dichiarato la sindaca di Roma Virginia Raggi. Dura la contestazione delle donne eritree ed etiopi presenti al Campidoglio, e dei movimenti per l’abitare, che hanno ribadito: «il Comune sta rifiutando i soldi già stanziati, esiste già una delibera regionale per questa emergenza».

Dopo la manifestazione di sabato 26 agosto, in cui migliaia di persone hanno sfilato per le strada di Roma protestando pacificamente contro le violenze di piazza Indipendenza, i rifugiati di via Curtatone hanno formato un presidio in piazza Venezia. In accordo con la Prefettura il presidio era stato autorizzato fino a lunedì 28, ma i rifugiati hanno continuato a dormire sotto l’Altare della patria ad oltranza in segno di protesta, contro un Comune ed uno Stato che butta in strada 800 rifugiati politici senza offrire una valida sistemazione alternativa, che eviti di separare le famiglie, e dia un tetto non solo ai bambini e alle donne, ma anche agli uomini.

Musica e impegno: il Jazz italiano per le terre del sisma

«Il jazz è un linguaggio che può adattarsi ai centri storici feriti, non ha bisogno per forza di grandi palcoscenici, puoi avere un piano solo o un quintetto in una basilica, è una musica della scoperta che si guarda intorno e costruisce – e mi pare un termine calzante», dice Paolo Fresu. Tra jam session e progetti solistici, dal duo alla banda di paese alle orchestre, dai nomi più noti ai giovani emergenti anche del luogo, Il jazz italiano per le terre del sisma 2017 con la direzione artistica del grande trombettista coinvolge con concerti pomeridiani e serali Scheggino in Umbria (31 agosto), Camerino nelle Marche (1° settembre), Amatrice nel Lazio (2 settembre, nel piazzale dell’ex Istituto Alberghiero), e per l’intero 3 settembre L’Aquila con appuntamenti finanche per strada e dai balconi oltre che a Collemaggio.
Con il Mibact in testa e i quattro sindaci come promotori, Left tra i media partner, Ada Montellanico presidente di Midj – Midj è tra gli organizzatori insieme all’associazione I-Jazz e alla Casa del Jazz di Roma – evidenzia il sostegno forte della Rai, tra Rainews 24, i tre canali radio e altro, e cita l’impegno di Gianni Pini di I-Jazz (e Music Pool) tra gli organizzatori. Distribuiti in oltre 140 concerti suonano oltre 700 musicisti di cui 600 nel capoluogo abruzzese dove ha dato il suo apporto il comitato per la ricorrenza della Perdonanza. La maratona musicale collabora con Io ci sono Onlus per costruire il Centro polifunzionale di Amatrice. Vanno citate le associazioni Visioni in Musica (Scheggino), Musicamdo Jazz e Tam-Tutta un’altra musica (Camerino) e Fara Music (Amatrice). Info: italiajazz.it

Nel prossimo numero di Left in uscita sabato 2 settembre ampio sfoglio su Il Jazz italiano per le terre del sisma 

Foto di Paolo Soriani

Nell’anniversario del Grande Terrore il rigurgito stalinista della Russia di Putin

epa05830745 Russian communists take part in a wreath laying ceremony at Joseph Stalin's tomb as they mark the 64th anniversary of his death near the Kremlin wall in the Red Square in Moscow, Russia, 05 March 2017. In 2017, Russians will mark the 100th anniversary of the 'Great October Socialist Revolution', or 'Bolshevik Revolution' of 1917. EPA/MAXIM SHIPENKOV

Mentre negli Stati Uniti le statue dei generali confederati sudisti vanno giù, in Russia vanno su quelle di Stalin. Ad Ovest abbattute, ad Est erette. L’uomo che uccise milioni di russi, condannandoli all’esilio, al carcere o all’esecuzione, che ordinò purghe massive contro oppositori politici, semplici sospetti, innocenti, vive un nuovo momento di gloria, come uomo bastione contro i fascismi.

Dieci nuove statue di Stalin sono riapparse in Russia dal 2012, insieme a un suo ritratto nella metro della capitale, Mosca, e una placca commemorativa all’accademia statale giudiziaria, che ha fatto discutere i cittadini. Le sue foto su magneti, tazze, magliette monopolizzano le bancarelle dei venditori ambulanti sulla strada dell’Arbat. È nei libri in libreria. Nei bar, sui bicchierini della vodka. I russi non lo avevano dimenticato: Stalin era stato solo spostato in un angolo della storia, poco visibile, insieme ai garofani rossi – sempre più presenti – sulla sua tomba in Piazza Rossa.

Il Levada center, il centro sondaggi più affidabile in Russia, ha registrato nel febbraio 2017 che il 46% dei russi prova ammirazione, rispetto e simpatia per Stalin, ed erano solo il 37% a marzo 2016. Il 39% dei russi – dice sempre il Levada – crede che le deportazioni e repressioni massive siano state un crimine, nel 2012 ci credeva il 51%.

Stalin, insomma, sta tornando ad essere l’eroe che sconfisse i nazisti nella Seconda guerra Mondiale, omaggiato di nuovo dai vecchi nostalgici sovietici e da una novella generazione di nazionalisti, proprio durante l’ottantesimo anniversario dall’inizio di quello che è passato alla storia come il “Grande terrore”. Era il 30 luglio 1937 quando il leader georgiano, con la sua polizia segreta, lanciò una campagna che portò all’arresto di 1.5 milioni di persone, alla morte di 700mila, oggi sopravvissuti solo in quegli archivi che nessuno legge più. Il trentennio di Stalin è finito nel 1953. Milioni di persone morirono in campi di lavoro o di fame. C’è chi ha calcolato 15 mln di morti, chi addirittura 30, ma la cifra non è ancora certa nonostante il lavoro incessante degli storici (ma gli esseri umani non sono numeri – tranne che per i nazifascisti – cambierebbe qualcosa se anche fossero stati “solo” 5?, ndr).

Articolo aggiornato alle ore 12 del 31 agosto 2017

 

Il genio di Facebook. E i numeri di una deriva

Lui si chiama Antonio Di Santo e dal suo profilo Facebook si intuisce solo che ha lavorato come direttore generale presso un’azienda ospedaliera di Parma. Ma non è questo che ci interessa. Antonio Di Santo, come molti di noi, è uno dei tanti frequentatori di social che ha capito benissimo come la vitalità sia spesso il giusto termometro di quello che è stata elegantemente ribattezzato come “analfabetismo funzionale” marche in realtà è più facilmente riconducibile al cretinismo.

Antonio sul suo profilo Facebook ha condiviso una sua foto. Una foto palesemente sua: ci si mette un secondo a notare che la sua immagine del profilo e la fisionomia dell’uomo ritratto nella foto sono la stessa persona. Ci arriverebbe anche un pollo.

E invece.

Come didascalia alla foto (che lo ritrae) ha scritto:

«Questo è Augusto Boldrini ed è il cugino della Presidente della Camera Laura Boldrini. Pur avendo solo la 5° elementare è stato assunto nella segreteria dell’ufficio verifiche atti di Palazzo Chigi e guadagna e guadagna 37.000€ al mese e nessun telegiornale ne parla… VERGOGNA!!!»

E sotto l’immancabile CONDIVIDI SE SEI INDIGNATO.

Voi penserete che nessun cretino potrebbe pensare credibile una cosa del genere. Che nessun cretino potrebbe davvero credere a uno stipendio di 37.000€ al mese per un qualsiasi funzionario.

E invece.

Mentre scrivo, il post di Antonio Di Santo conta circa 55.000 condivisioni, 610 commenti e un migliaio di reazioni. Commenti come “Non meritano commenti persone cosi ,fare i fatti……“, decine di “che schifo“, “a zappare la terra deve andare“, “bhe non peggio degli aumenti della raggi ai suoi collaboratori,per avere una citrà,nella merda totale“, “Si doppia vergogna!!!! Schifosi e noi che ci arrabbattiamo giorno per giorno!!!! Mah!!!😠“, “Queste politichi bastardi anno portato alla rovina la bella ITALIA“, “Sono più VERGOGNOSI i milioni di persone che se avessero l’opportunità di essere al suo posto accetterebbero ad occhi chiusi. MA PIANTATELA CON QUESTE CAGATE 💩💩💩“, ” un altro cornuto come l’altro della settimana scorsa cugino della Boldrini la più zoccola dellitalia colpo grosso e finito ma lei continua a fare la mignotta con i neri ,li ha provati quando lavorava a colpo grosso se ricordate lei già era zoccola da giovane adesso e baldracca al senato siamo robinati” (scritto proprio così, eh), “io sono disgustato di questo governo di ladri” e così via. Fino al geniale: “L’ennesima stronzata e l’ennesimo stronzo. Fa bene Boldrini a denunciare penalmente questi soggetti.” di chi non capisce che si tratta di una provocazione.

Se volete leggervi tutti i commenti li trovate qui.

Poi, beh, le conclusioni oggi tiratele voi.

Buon giovedì.