Dopo l’evento epocale di Jazz italiano per l’Aquila nel 2015, e la replica nel 2016, trasformatasi in Jazz italiano per Amatrice visto il primo terremoto del 24 agosto 2016, anche quest’anno i musicisti italiani di jazz si mobilitano in massa per un progetto più articolato che coinvolge tutte e quattro le regioni colpite dal sisma, in altrettante città simbolo.
Jazz italiano per le terre del sisma (questo il titolo scelto per la nuova edizione) parte il 31 agosto da Scheggino, perla della Valnerina, in Umbria, per poi proseguire il 1 settembre nelle Marche a Camerino, nella Rocca Borgesca; il 2 settembre sarà la volta di Amatrice, lil posto più duramente colpito, per concludersi con una grande kermesse che durerà tutta la giornata, come due anni fa, il 3 settembre a L’Aquila, con 600 musicisti distribuiti in ben 18 siti diversi, a partire dalle 11 di mattina fino a notte fonda.
In tutto saranno coinvolti un centinaio di gruppi e più di settecento artisti provenienti da tutta Italia, a testimoniare vicinanza e solidarietà con le popolazioni delle zone colpite.
Non mancherà neppure la partita organizzata della nazionale di calcio “Jazzisti” per raccogliere i fondi da destinare all’acquisto degli strumenti musicali per la Banda di Amatrice, distrutti dal sisma.
Paolo Fresu sarà di nuovo il direttore artistico dell’iniziativa, organizzata ancora una volta da I Jazz ( Associazione nazionale dei Festival di jazz ) da Midj, l’Associazione italiana dei musicisti di jazz guidata dall’energica presidentessa Ada Montellanico, da Casa del jazz, e promossa dal Mibact (ministero per i Beni e le attività culturali e del turismo) e dal comune de L’Aquila (Comitato Perdonanza).
Nella conferenza stampa di Roma presso il Mibact, alla presenza del ministro Franceschini, assieme ai sindaci dei quattro comuni coinvolti, Fresu ha sottolineato la continuità di intenti e di obbiettivi tra le iniziative degli anni scorsi e quella di quest’anno, che si articola in maniera più capillare e diffusa sul territorio.
Il grande trombettista ha sottolineato ancora una volta il valore di testimonianza, solidarietà, sostegno morale alle popolazioni colpite. «Il jazz– ha ricordato Ada Montellanico – è l’arte dell’incontro e del dialogo tra culture e popoli diversi; è una musica capace di costruire ponti tesi a favorire il rapporto tra le persone, a creare unione».
Dunque il mondo della cultura e dello spettacolo si mobilitano a sostegno delle zone terremotate. Ricordiamo per l’occasione anche l’iniziativa RisorgiMarche, promossa da Neri Marcorè con importanti concerti nelle aree colpite.
In un momento critico, dopo un durissimo inverno di immobilismo assoluto, in cui la fase di “emergenza”, complici anche gli “sciami sismici” tuttora in corso, sembra non finire mai, e la fase “ricostruzione” muove i primi timidi passi, ben vengano tutte le iniziative artistiche e culturali che tengano alta la tensione morale e soprattutto continuino a tenere accesi riflettori su una vicenda che, inesorabilmente e colpevolmente sta scomparendo dagli schermi delle televisioni generaliste ed anche dalle pagine dei giornali nazionali.
Prima ancora delle case, delle strade, delle scuole è importante stimolare la voglia di esserci. E questa per ora non manca alla gente del posto. Cerchiamo di non approfittare troppo della loro atavica tenacia.
Il popolo del jazz torna nei luoghi del sisma: centinaia di session in quattro regioni

Pechino censura Winnie the Pooh da tutti i social network

Più della bolla immobiliare che aleggia su Shangai e sulle borse finanziarie, più dei fattori di rischio della sovrapproduzione: oggi è Winnie the Pooh a far paura a Pechino. Per la censura cinese l’orso arancione è soggetto sgradito, perché per i cittadini a Levante «l’orsetto con poco cervello» – secondo la descrizione del suo stesso autore – è il presidente Xi Jinping.
La notizia è sul Financial Times in prima pagina: la censura digitale cinese ha eliminato Winnie senza spiegazioni dai social network, dalle chat e da tutto il resto del web. Su Sina Weibo, il whatsapp cinese, se si prova a scrivere il nome Winnie sul cellulare, la scritta che appare è: «questo contenuto è illegale».
L’immagine di Xi Jinping in macchina, accostata a quella di Winnie in auto, è stata l’immagine più censurata del 2016, secondo l’istituto Global Risk Insight. Le foto del presidente cinese accostate a quelle di Winnie sono diventate virali nel 2013, dopo una visita dell’ex presidente Obama, nella stessa posa di Tigro, l’amico dell’orso. È bandito anche Eeyeroe, asino triste di pezza, perché nelle caricature dei commentatori digitali è Shinzo Abe, il premier giapponese.
Qiau Mu, professore della comunicazione e media alla Beijing Foreign Studies University, ha detto al quotidiano americano che in Cina «due cose sono storicamente vietate: l’organizzazione politica e l’azione politica. Adesso si è aggiunta la terza: non parlare del presidente. Winnie fa parte del trend» e ha ricordato che alcuni utenti che hanno commentato online il governo sono finiti in detenzione.
Prove di oblio per censori efficienti, prove di fantasia per gli utenti che usano adesso parole inventate e metafore per continuare a commentare la politica del loro presidente. Nemmeno un orso che non esiste può tentare di minare il potere di Xi, che in autunno dovrà essere riconfermato al Congresso. Nel paese del Dragone non c’è bisogno di spiegazioni ufficiali per decidere di bandire un’immagine o vietare una parola. Dopo la morte del dissidente cinese Liu Xiaobo pochi giorni fa, la parola scomparsa dal web in Cina è stata RIP.
Così è morta Leila: torturata e violentata in Libia e sbarcata per morire
È una storia minima ma ha dentro tutto quello che serve per interrogare le coscienze. Perché la protagonista è una ragazza, appena diciottenne, che chiamano con un nome di fantasia, Leila, come l’ha chiamata per primo il giornalista Bruno Palermo che questa vicenda l’ha scovata tra le pieghe di una Calabria in cortocircuito.
Leila è sbarcata a Crotone lo scorso 28 giugno, soccorsa dalla nave Bourbon Argos di Medici Senza Frontiere, uno dei “taxi del mare”, come dice qualcuno, che trasportano in gita di piacere quelli che andrebbero “aiutati a casa loro”. Lei, a casa sua, la Somalia, è stata costretta a scappare per non rimanere schiacciata dalla violenza e mentre attraversava la Libia in attesa di trovare la salvezza via mare ha trovato l’orrore: violentata e torturata Leila arriva in Italia con lo sguardo nel vuoto e un figlio in grembo, frutto di quegli stessi stupri che le hanno spento lo sguardo.
Rifiutava il cibo, Leila. E dopo avere partorito si è lasciata morire. L’autopsia dirà quale sia stata la causa finale di un morte che si potrebbe dire per “mancanza di speranza”. Ora, dopo l’autopsia di rito, saranno fissati i funerali. E chissà se quest’altra vittima potrà servire convincere uno, anche uno solo, di questa transumanza di disperazione che oltre al dolore deve sopportare una disaffezione così grande per i lutti degli altri.
Chissà se i vigliacchi capaci di essere forti solo con i deboli non avranno il coraggio di manifestare anche durante il funerale di Leila. In fondo lei semplicemente non ce l’ha fatta, ma “casa loro” e il “viaggio con i taxi del mare” sono gli stessi.
Buon venerdì.
Se la sinistra batte in ritirata
Il fascismo è una radice sempre viva, alimentata dalle emozioni che serpeggiano nel popolo democratico: quelle della paura, del risentimento, della disillusione. Paura di vedere eroso il proprio benessere (già incerto per i numerosi tagli alla spesa pubblica che hanno colpito i comuni per primi); risentimento per il diverso e chi non è in grado di fermarlo; disillusione per la mancanza di potere che i cittadini avvertono. Oggi tutto questo genera fascismo, un fascismo interno alla democrazia. I fascisti di CasaPound (che hanno interrotto il consiglio comunale di Milano) e i loro vicini di bottega, i leghisti di Matteo Salvini, hanno un obiettivo polemico specifico negli africani rifugiati e immigrati. Non è tanto l’immigrazione il loro nemico, ma una specifica immigrazione, quella che ha un colore nero o bruno. La razza, parola che ci riporta agli anni ’20 e ’30 del Novecento, è la linfa dell’ideologia fascista; oggi con più facilità di ieri, poiché la razza, l’altra razza per eccellenza, è già qui. Se i colonizzatori andavano a conquistare l’Africa e riconfermavano la loro anima razzista, oggi è l’Africa a venire nei Paesi degli ex-colonizzatori. E questa volta, contrariamente ad allora, è molto probabile che il razzismo colpisca tutti, anche i non fascisti dichiarati o votanti, tutti uniti nella paura dell’“invasione”. L’ideologia fascista questa volta rischia di permeare il corpo politico alla radice. È questo che deve far preoccupare tutti noi, cittadini e rappresentati delle istituzioni, politici e giornalisti. Una prova di quanto dico viene proprio dalle regioni rosse, in particolare l’Emilia Romagna, il modello di governo democratico progressista, fondato su valori inclusivi e di eguaglianza. A guardare i dati delle ultime elezioni amministrative vi è di che essere preoccupati. Due fenomeni si sono registrati, che vanno sempre più a braccetto: l’astensionismo e il voto di destra. Anzi, la sterzata a destra….

L’articolo di Nadia Urbinati prosegue su Left in edicola
Il verde e il nero
La città si è già svuotata. Il traffico scorre più regolare. Non ci sono più ingorghi, andare da una parte all’altra della città è diventato facile e veloce. Fa soltanto molto caldo. Ma non sembra più esserci il problema del caos quotidiano, dei gesti e dei percorsi che si ripetono ogni giorno per andare al lavoro e poi tornare.
Tutti pensano al riposo estivo, alle settimane da passare con la famiglia e gli amici. Però in questi giorni c’è un altro pensiero… piccolo, nascosto ma… sempre presente. La terza settimana di luglio è stata per anni, per me e per tanti altri, un tempo di separazione. Era l’ultima settimana dell’anno “accademico” ed era segnata in un colore nero e verde su un calendario particolare, che segnava solo quattro giorni lavorativi a settimana, in colore nero, e poi 3 giorni in colore verde, il venerdì, il sabato e la domenica. Non esistevano feste religiose e nemmeno quelle civili su quel calendario: solo la festa (laica) del primo dell’anno. Un’alternanza continua di 4 giorni scritti in nero e 3 giorni scritti in verde. Poi, improvvisamente, alla fine di luglio il verde prendeva il sopravvento. Per 6 settimane… 5 settimane quest’anno… ci sono solo giorni verdi. Poi, alla fine di agosto, di nuovo l’alternanza nero e verde… È restato sempre sostanzialmente lo stesso da quando è stato ideato. Internamente cambiavano i giorni della settimana e la copertina con il nuovo numero dell’anno. I disegni ad accompagnare i mesi dell’anno sono sempre rimasti quelli. Anche le settimane del verde estivo sono sempre state 6. Quest’anno sono 5. Quel calendario, avrà capito il lettore, è stato ideato e disegnato da Massimo Fagioli tanti anni fa.
Quelle settimane verdi erano il tempo della separazione estiva, il tempo nel quale non si tenevano i seminari di Analisi Collettiva. Nel 2016 era aumentato il tempo dei seminari, una settimana in più a fine agosto.
Massimo Fagioli era molto attento al tempo e ai numeri che lo rappresentavano. Ricordo bene che quando è capitato di festeggiare insieme il capodanno, alla mezzanotte la prima cosa che faceva dopo aver brindato era aprire il foglio del nuovo calendario del nuovo anno appena nato.
Il vecchio era finito. Andava immediatamente chiuso e messo da parte per fare spazio al nuovo. Non c’è mai stato spazio per i rimpianti con Massimo Fagioli. Le sue separazioni erano radicali! Senza compromessi!
Una volta in una delle tante interviste gli chiesero: «Ma se tu dovessi lasciare improvvisamente la tua casa potendo portare una sola cosa, cosa porteresti via?». E lui disse «niente!».
È la separazione ciò che fa l’umano. Ma essa separazione deve essere con e perché c’è stato prima un rapporto.
Massimo Fagioli ha scoperto la pulsione di annullamento perché non sapeva fare la pulsione di annullamento. Le sue separazioni erano sempre creazione di qualcosa di nuovo. Ricreava se stesso e spingeva gli altri a fare altrettanto. In tutti i suoi scritti, a partire da Istinto di morte e conoscenza, c’è un’idea semplice e rivoluzionaria: è con la separazione che si realizza l’identità personale di ognuno. Perché è la separazione ciò che ci permette di realizzare noi stessi in maniera unica ed originale.
È la separazione che fa il nuovo superando il vecchio senza annullamento.
È quando si nega o si annulla la separazione che vengono i problemi… e ciò accade perché si nega o si annulla il rapporto precedente la separazione.
Quando la separazione è per annullamento, l’altro e il rapporto con l’altro vengono cancellati. Compare il vuoto interno che non è passività. È il risultato di un’attività. È il risultato della pulsione di annullamento. La separazione allora è senza affetti. È come se non fosse accaduto nulla. Ma in realtà dentro c’è il vuoto. Si è un po’ meno umani di prima.
Quel verde dei giorni d’estate è un invito alla bellezza…. Un invito a realizzare se stessi nella separazione. Se poi quella bellezza non c’era ancora Massimo Fagioli vedeva al di là. Spingeva alla ricerca. Sapeva che era una questione di tempo e il verde della vita felice sarebbe tornato. Lui avrebbe lavorato, come ha sempre fatto, con la certezza della bellezza degli altri. Qualche giorno fa, mia figlia Melania mi ha mostrato come si fa un cuore con le mani. Si uniscono i pollici e si mettono le altre dita piegate. Poi mi ha detto che in realtà quel cuore, fatto così con le mani, è un vestito.
Forse mi ha detto che i bambini sono così: il vestito che hanno nel rapporto con gli altri, il modo come si propongono agli altri, è fatto solo di cuore. Non c’è ragione. Non c’è utile. C’è solo l’amore per gli altri. I bambini hanno assoluta fiducia negli altri. Non concepiscono la cattiveria.
Penso sia questa la grande idea rivoluzionaria. La cattiveria e la stupidità non sono naturali.
Massimo Fagioli lo aveva compreso. E l’ha raccontato al mondo.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto dal numero di Left in edicola
«Quella volta che “il nero” svuotò il caveau della Banca di Roma»
Sono 20 gli anni di carcere che dovrà scontare Massimo Carminati. La notizia è di oggi: intorno alle 13 sono arrivate le condanne per il maxi-processo di Mafia Capitale, durato 2 anni e 240 udienze. “Solo” 20 anni per l’uomo che negli ultimi 40 anni è stato protagonista della storia nera del nostro Paese. Carminati ha attraversato, con il suo potere, la storia italiana, cambiando faccia di volta in volta: è stato un terrorista di destra, è stato uomo della Banda della Magliana e ha avuto un ruolo chiave nei processi per la strage di Bologna e per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Massimo Carminati è il perno del potere di Mafia Capitale, l’uomo intorno a cui gira l’enorme criminalità organizzata della Capitale.
Ma il suo potere da cosa deriva? L’ha raccontato Lirio Abbate nel documentario L’uomo nero, in cui, insieme a Guy Chiappaventi e Flavia Filippi, ha ripercorso la storia criminosa di Carminati. Con documenti inediti viene raccontato il furto più importante degli ultimi decenni: quello avvenuto nel 1999 al caveau della Banca di Roma, organizzato e diretto da Carminati stesso, mentre era sotto processo insieme ad Andreotti per l’omicidio di Mino Pecorelli.
«Quel furto ha modificato il percorso politico e giudiziario del nostro Paese» ci spiega Lirio Abbate. «Ufficialmente sono stati rubati solo gioielli e denaro, però quelle cassette appartenevano a magistrati e avvocati impegnati in indagini delicate: dall’omicidio Pasolini, alla strage di Bologna fino al rapimento di Emanuela Orlandi». Un furto mirato quindi, per indebolire e ricattare chi stava indagando sui misteri (ancora irrisolti) del nostro Paese e che rende Carminati un “intoccabile”. «Quello che si racconta» dice Abbate, «è che Carminati fosse alla ricerca di documenti riservati che, secondo i testimoni, servivano a ricattare i magistrati».
Nel documentario L’uomo nero ci sono audio e video inediti, in cui per la prima volta si vede e si sente la voce di Carminati, per capire come opera, come agisce quest’uomo che è purtroppo «diventato una leggenda nella criminalità organizzata romana». Nel furto al caveau del 1999 non tutte le cassette di sicurezza vennero aperte: Carminati era in possesso di una lista in cui erano elencate le cassette in cui effettuare i furti. «Ed è proprio da questo che deriva il potere di Carminati», prosegue Abbate «dall’essere stato incaricato da qualche apparato di rubare questi documenti. Di essere stato quindi il braccio operativo di un furto del genere, di essere servito a qualcuno che ha voluto effettuare un furto che le vittime non hanno avuto il coraggio di denunciare».
Da questo deriva l’inquietante potere di Massimo Carminati, nella cui condanna oggi è stato cancellato il reato di associazione mafiosa: Carminati quindi è un delinquente come tanti altri e a Roma la mafia non esiste. Le condanne annunciate oggi sono pesanti, ma viene eliminato il 416 bis. Per “il nero” – così era soprannominato all’interno della Banda della Magliana -, l’uomo che ha attraversato una bella fetta di storia di stragi e delitti del nostro Paese, che è passato dal terrorismo, alle lotte armate tra bande, ai rapimenti, il reato di associazione mafiosa non c’è. E così si conclude il maxi-processo di una mafia che a quanto pare non è mai esistita. Restiamo in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza.
Biblioteca nazionale, l’odissea degli “scontrinisti”: dal ministero solo risposte vaghe
«Loro continuano a dire che è una forma di volontariato, ma il volontariato è altro, noi svolgevamo lavori a tutti gli effetti, in modo continuativo da anni e anni, per quanto mi riguarda sei. Noi siamo stati sfruttati». A parlare a Left è Laura Leoni, una degli “scontrinisti”: ventidue ex-lavoratori della Biblioteca nazionale di Roma – la più grande del Paese – privi di alcun diritto. Con Nidil Cgil e Fp Cgil, sono stati ricevuti al ministero per i Beni culturali dopo un sit-in, al quale era presente anche una delegazione di Link coordinamento universitario.
Si definiscono «molto più di semplici precari». Niente ferie, malattie, congedi e contributi previdenziali retribuiti. Solo tanti scontrini, da raccogliere anche per terra, per poterli consegnare alla associazione Avaca e ottenere così un rimborso spese, un assegno di 400 euro mensili. E poi, all’improvviso, con un sms di Gaetano Rastelli – sindacalista e responsabile dell’associazione convenzionata col ministero dei Beni culturali – gli è stato annunciato il licenziamento. Una circolare della direzione biblioteche del Mibact del 20 aprile, infatti, avvertiva che tali forme di volontariato sarebbero state eliminate. Oltre al volontariato, però, si è deciso di eliminare pure i volontari. A rimpiazzarli, dal 30 giugno, i partecipanti al Servizio civile nazionale.
Ma gli scontrinisti, che operavano in ruoli cardine all’interno della biblioteca – magazzino, prestiti e controllo degli accessi – non si sono arresi, e sono riusciti oggi a parlare con un funzionario del ministero. «Un incontro non molto risolutivo – commentano – ma abbiamo ottenuto di essere auditi come lavoratori, di poterci spiegare. Non sapremo se le promesse verranno mantenute», ma «in ogni caso non ci fermeremo finchè non avremo risposte concrete». Il primo presidio davanti ai cancelli della biblioteca in viale di Castro Pretorio, subito appoggiato da Cgil funzione pubblica e Usb, che risale al 25 Maggio, non aveva portato a nulla, se non a un po’ di meritata visibilità, non da tutti compresa fino in fondo.
«C’è anche chi ci ha accusato di voler bypassare le normali procedure di assunzione con le nostre rivendicazioni» ma la verità per Laura è una altra. «Siamo consapevoli che non è che da un giorno all’altro potremmo avere un contratto coi beni culturali, ma da quello a non avere nulla c’è differenza».
Presente anche Claudio Meloni (Fp Cgil Mibact): «Ventidue lavoratori sono stati licenziati dal ministero quando hanno avuto il coraggio di fare una denuncia pubblica sulle condizioni di sfruttamento cui erano sottoposte», «siamo qui oggi per chiedere una soluzione. Noi chiediamo una assunzione di responsabilità politica al ministro, che ci deve dare delle risposte, in quanto lui ha la responsabilità della gestione dei rapporti di lavoro all’interno del ministero».
Col blocco delle assunzioni nel settore, alla grande necessità di forza lavoro si è deciso di rispondere con queste forme di precariato estremo, malcelati escamotage per coprire i buchi di una carenza di organico cronica. «L’associazione Avaca è attiva anche in altri enti – ricorda Laura – non solo in Biblioteca nazionale. Non siamo gli unici in queste condizioni».

Per approfondire, ecco il numero di Left in edicola questa settimana
Mafia Capitale: Carminati condannato a 20 anni, non c’è stata associazione mafiosa

Il processo “Mafia Capitale” si è concluso oggi, in primo grado, con le pesanti condanne ai due imputati “eccellenti” Massimo Carminati e Salvatore Buzzi: a 20 anni di carcere per il primo e 19 per il secondo. L’accusa per entrambi è di associazioni a delinquere semplice. L’ex terrorista nero Carminati e Buzzi, capo della cooperativa di ex carcerati 29giugno, sono stati riconosciuti come i vertici dell’organizzazione fondata su un«ramificato sistema corruttivo» per l’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal comune di Roma e dalle aziende municipalizzate. Ma è caduta l’accusa più pesante di associazione mafiosa, motivo per cui i pm avevano chiesto per Carminati una condanna a 28 anni di carcere e per Buzzi a 26 anni e 3 mesi.
La sentenza è arrivata intorno alle 13 di oggi dopo circa venti mesi di processo e centinaia di udienze, ed è stata pronunciata dalla presidente della X sezione del tribunale di Roma Rosanna Ianniello. Gli imputati in attesa di giudizio erano 46, in totale la Procura aveva chiesto condanne per oltre cinque secoli di prigione. Secondo l’impianto accusatorio, come ricorda l’Ansa, i vertici del gruppo potevano contare su una schiera di politici, sia di destra che di sinistra. Tra loro l’ex capogruppo del Pdl in Comune Luca Gramazio, che è stato condannato a 11 anni (erano stati chiesti 19 anni e mezzo). Per il presunto braccio destro di Carminati, Riccardo Brugia, la condanna è stata a 11 anni (chiesti 25 e 10 mesi); mentre il pm aveva chiesto una condanna a 22 anni per la cosiddetta “cerniera” tra Mafia Capitale e il mondo politico-istituzionale, Fabrizio Testa. Per lui la corte ha stabilito 11 anni di carcere. Un in più di quanto comminato a Franco Panzironi, l’ex amministratore delegato di Ama, la municipalizzata romana dei rifiuti.
Con il “parco Falcone e Borsellino” il sindaco Coletta offre una nuova identità a Latina
Scriveva Vittorio Foa nel libriccino Le parole della politica che «La cosa più importante che si può chiedere a un politico è che deve dare l’esempio». Esempio ovviamente positivo, finalizzato al progresso sociale e culturale della collettività.
Sentendo parlare il sindaco di Latina Damiano Coletta ieri pomeriggio insieme alla presidente della Camera Laura Boldrini all’intitolazione del parco comunale a Falcone e Borsellino, quel luogo che originariamente portava il nome di Arnaldo Mussolini, mi è venuta in mente questa frase del grande uomo di sinistra famoso per la sua indipendenza di pensiero, che tra l’altro, negli ultimi anni viveva a Formia, poco distante da Latina. L’esempio di Damiano Coletta qual è? Il medico cardiologo eletto in una lista civica un anno fa che per la prima volta ha battuto quel centrodestra che deteneva da sempre il potere nella città pontina, ha compiuto un gesto che in apparenza è “normale”, cambiare cioè la denominazione di un luogo pubblico. Accade tante volte negli ottomila comuni italiani. Ma quella targa, nel giorno in cui si ricordava la morte di Paolo Borsellino, ha un enorme valore simbolico. Sì, qualche fischio c’è stato, insieme a qualche coretto da parte di esponenti della destra, ma Coletta ha detto che in quell’atto deciso dalla nuova maggioranza non c’è «nessuna volontà divisoria, nessuna negazione della storia nessun abbattimento di monumenti ma la volontà di unire». Il suo tentativo – difficile ma non impossibile – è quello di ricostruire una memoria comune, o meglio una identità nuova, su valori diversi da quelli celebrati finora. E quindi per un Paese come l’Italia caratterizzato da una “memoria divisa” come lungamente ci spiegano gli storici (Sergio Luzzatto su Left del 22 luglio), l’essere andato, da parte del sindaco di Latina, oltre il passato “remoto” per affidarsi a idee ed esempi – è proprio il caso di dire – di personaggi che hanno lottato per la legalità come Falcone e Borsellino è qualcosa di dirompente. Soprattutto poi se consideriamo che il territorio pontino è stato dilaniato da forti collusioni tra criminalità e politica, come ha ricordato Coletta nel suo discorso. E come hanno dimostrato le indagini della magistratura. Insomma, le mafie nell’agro pontino sono un problema da tempo.
Soltanto celebrando i valori della legalità si unisce, dice il sindaco, perché solo attraverso la legalità e le regole, si costruisce la libertà e la democrazia. «Affermazione che non è figlia di una contrapposizione ideologica ma figlia della nostra Costituzione». La Carta nata dalla Resistenza che a Latina, ricorda Coletta, soltanto quest’anno ha visto un sindaco prendere parte alla celebrazione. La difesa della legalità è stata la strada percorsa dalla lista Latina bene Comune che ha portato Coletta ad ottenere al ballottaggio il 75% dei consensi. Ci sono tanti giovani dietro, c’è stata una grande manifestazione di Libera, insomma qualcosa davvero a Latina è cambiato. «Non c’è più rassegnazione e indifferenza», ha sottolineato Coletta. Per questo motivo «un sindaco ha il dovere morale, etico, di aprire gli occhi alla propria comunità, di non voltare la faccia e di essere un buon esempio tutti i giorni». Come appunto intitolare il parco a Falcone e Borsellino ricordati in maniera efficace sia dalla giovane e combattiva presidente della Provincia di Latina Eleonora Della Penna che dalla presidente della Camera Laura Boldrini che ci ha tenuto a smentire quelle dichiarazioni attribuitegli sul fatto che avrebbe voluto cancellare i simboli del Ventennio. «Sono bufale, assurdità inventate, menzogne inventate a tavolino», ha detto Boldrini.
Torniamo al sindaco e alla sua battaglia che è soprattutto culturale. Fatta di atti simbolici ma anche di ricerca, almeno per rimettere a posto la Storia. Lo ha ricordato lui stesso: la mostra su Oriolo Frezzotti, l’architetto che ha disegnato Littoria e l’accordo con l ‘archivio di stato per il recuperare la documentazione sui progetti della fondazione. Il rispetto per la Storia c’è. Ma poi bisogna andare avanti, con coraggio e con la schiena dritta, pensando al futuro. «Amministrare secondo le regole significa anche dire no, fare scelte impopolari che non portano consenso ma che sono scelte per le future generazioni e garanzia di libertà perché le regole e il rispetto della legalità sono la garanzia per la libertà. Amministrare significa scegliere non cosa conviene fare ma cosa è giusto fare, come in questo caso».
Scegliere non cosa conviene fare ma cosa è giusto fare: una lezione di alta politica.
Addio Larsen C. Dove andrà il gigante di ghiaccio? Il suo destino e la sua destinazione pongono nuove domande
Chi non crede al riscaldamento globale adesso ha miliardi di tonnellate di prove. È un avviso non solo per i negazionisti del cambiamento climatico, ma per tutto il resto del mondo. Chissà ora dal Polo sud il Larsen C dove andrà…
La crepa si faceva sempre più lunga e, raggiunti i duecento chilometri, ha fatto cedere la calotta gelata. La causa è, purtroppo, scontata: un aumento di temperatura nei mari di Weddel di almeno 3° e il distaccamento adesso innalzerà di vari centimetri il livello dei nostri.
Così il gigante di ghiaccio ha cominciato il suo viaggio. Il più grande iceberg a memoria d’uomo si è staccato dalla calotta ghiacciata d’origine – chiamata appunto Larsen C – e adesso vaga negli oceani.
È il più enorme iceberg mai registrato: è grande due volte il Lussemburgo, 5mila chilometri quadrati, pesa 3mila miliardi di tonnellate. La Nasa lo studia dal 2014 e l’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, già da tempo avvisava dall’alto che Larcen C stava per dire addio al 12% della sua massa di ghiaccio totale.
Il suo destino e la sua destinazione sono l’origine delle nuove domande: se si scioglierà, se si dividerà in più piccoli iceberg, se si dirigerà a nord o a sud, gli esperti non lo sanno ancora. Intanto, fanno sapere, ridisegnano le mappe della zona.







