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Un pacco per Bezos: dentro Amazon arriva il sindacato

FILE - Staten Island-based Amazon.com Inc distribution center union members celebrate after getting the voting results to unionize on Friday, April 1, 2022, in New York. Amazon workers in Staten Island voted to unionize, marking the first successful U.S. organizing effort in the retail giant's history and handing an unexpected win to a nascent group that fueled the union drive. (AP Photo/Eduardo Munoz Alvarez, File)

Licenziato perché chiedeva maggiori tutele contro il Covid-19, l’ex rapper Chris Smalls non si è dato per vinto e ha scelto di combattere, arrivando a ottenere un risultato storico: fondare il primo sindacato statunitense e il primo al di fuori dell’Europa della storia di Amazon. Nel magazzino di Staten Island, New York, la Amazon labour union (Alu) su 8.325 aventi diritto al voto ha raccolto 3.654 voti favorevoli, mentre 2.131 hanno votato contro e alcune decine di schede sono state contestate. Quanto accaduto rappresenta un grande successo per i lavoratori e una sconfitta epocale per Amazon che cerca di soffocare qualsiasi tentativo di sindacalizzazione sin dalla sua fondazione, nel 1994, come racconta Vox. Addirittura, la parola “sindacato” è stata inserita tra quelle proibite nella nuova app di comunicazione interna dei dipendenti, in fase di sperimentazione. A spaventare il colosso dell’e-commerce è anche il prossimo passo che si propone di fare l’Alu: negoziare un contratto collettivo che preveda uno stipendio minimo di 30 dollari l’ora contro i 18 attuali, oltre che allungare i tempi di pausa e abolire gli straordinari obbligatori (tranne che nelle settimane di punta dello shopping online). Chiaramente, un altro punto chiave sarà…

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La Capitale delle disuguaglianze

A busker plays the violin in the subway at Nyugati Square during the coronavirus emergency in Budapest, Hungary, March 18, 2020. (Zoltan Balogh/MTI via AP)

Acqua gelida sui pavimenti dove sono soliti fermarsi per dormire e tentativi di ostacolare le associazioni che la notte portano generi di prima necessità a chi cerca un rifugio nella stazione Termini, arrivando perfino a cacciare i volontari. Azioni motivate dal fatto di tutelare il decoro e le attività economiche, ma che hanno riportato l’attenzione su una parte di Roma che sembrava dimenticata. Prima ancora di questi fatti di cronaca, era giunto sui tavoli istituzionali un rapporto di quasi 100 pagine dal titolo Dalla strada alla casa realizzato dall’associazione Nonna Roma, nata nel maggio 2017 nel circolo Arci Sparwasser e sostenuta anche dalla Cgil.

Il rapporto permette comprendere meglio e nei dettagli quanto si siano amplificate, nella Capitale, con la pandemia, le diseguaglianze sociali a partire dall’accesso ai generi di prima necessità. È cambiata la situazione di quelli che sono i senza fissa dimora, sia per il loro numero, che è aumentato, che per la loro tipologia. «Partivamo già da una società fragile e impoverita – racconta Sara Fiordaliso, di Nonna Roma -. Secondo uno studio sulla povertà cittadina … »…

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L’accoglienza per gli ucraini: sfruttati in una fabbrica di sigarette contraffatte

A train attendee, center, gives instructions as Ukrainians currently living in Poland walk on a platform as they wait to board a Ukrainian train traveling to Ukraine, at the station in Przemysl, Poland, Monday, March 7, 2022. Russia's invasion of Ukraine has set off the largest mass migration in Europe in decades, with more than 1.5 million people having crossed from Ukraine into neighboring countries. (AP Photo/Czarek Sokolowski)

La guerra fa schifo ma anche dalle nostre parti qualcuno ce la mette tutta per riuscire a scivolare ancora più in basso.

Giovedì la Guardia di finanza del Comando provinciale di Roma ha effettuato un’irruzione in un presunto impianto di sigarette contraffatte nella zona industriale di Pomezia, cittadina a sud della capitale Roma.

All’interno hanno trovato dieci lavoratori provenienti da Russia, Moldova e Ucraina. Durante la produzione delle sigarette, i lavoratori erano stati «sottoposti a turni di lavoro massacranti e costretti a lavorare in un ambiente malsano, con le finestre murate e senza prese d’aria per i fumi di lavorazione», secondo la Guardia di finanza. Secondo quanto riferito, le istituzioni locali hanno messo a disposizione dei lavoratori alcune strutture di prima accoglienza, tra cui diversi rifugiati dall’Ucraina.

Il capo della società che gestisce la fabbrica è stato arrestato e condotto nel carcere di Velletri con l’accusa di contraffazione, contrabbando, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

All’interno del capannone che ospitava la fabbrica, la polizia avrebbe scoperto oltre 82 tonnellate di tabacco e pacchetti di sigarette contraffatti con etichette di marchi famosi.

Il sequestro è il più grande del genere degli ultimi anni in Italia.

La vendita di questi prodotti – che saranno distrutti – avrebbe portato a un’evasione fiscale per un totale di oltre 19 milioni di euro, affermano gli inquirenti.

L’Unhcr ha avvertito che i rifugiati dall’Ucraina sono a rischio di tratta e sfruttamento e che donne e bambini, che rappresentano il 90% delle persone in fuga dall’invasione russa, sono particolarmente a rischio.

«È impossibile valutare quante donne e bambini rifugiati ucraini potrebbero essere stati preda dei trafficanti. Finora i casi noti sono fortunatamente pochi», ha affermato Gillian Triggs, capo della protezione dei rifugiati delle Nazioni Unite.

Buon martedì.

 

Carlo Bo, una vita per i libri

Urbino questa mattina mi appare vuota e ventosa mentre cammino veloce, stretto nel mio giaccone, mi vengono incontro rari studenti assonnati, qualche svogliato passante, il commesso della Libreria moderna universitaria sta sistemando sugli scaffali all’aperto le pile dei volumi in offerta.
Quando arrivo davanti al Palazzo Passionei Paciotti dove si trova la Fondazione Carlo e Marise Bo, e subito dopo nell’ufficio al pianterreno che sta di lato al cortile, mi sta già aspettando la bibliotecaria Elena Baldoni, capelli neri lisci e uno sguardo intenso esaltato negli occhi scuri dal bianco della mascherina. Ha già preparato nella sala attigua i volumi che le avevo chiesto al telefono di poter consultare, me li porge con fare delicato, posandoli sopra un tavolo. Sono solo alcuni dei 100mila testi conservati nella Biblioteca, 6mila dei quali con le dediche dei più importanti scrittori del Novecento, non solo italiani, desiderosi di essere letti dal più importante e longevo critico letterario del secolo, ispanista e francesista raffinatissimo, una specie di icona intellettuale e monumento vivente morto nel 2001 a Genova, nella sua Liguria, all’età di novant’anni.

Spaginandoli, provo un po’ di intimorito rispetto per queste copertine e i dorsi, le pagine ingiallite, un senso di rimorso per quella che era la Letteratura, fa un certo effetto trovarsi di fronte la prima edizione de La meglio gioventù di Pier Paolo Pasolini, una reliquia che oggi si definirebbe volgarmente vintage, con la dedica autografa scritta con la stilografica: «A Carlo Bo, il suo affezionato (anche se non corrisposto)»; o il volume dei Supercoralli Einaudi di Corporale dove Paolo Volponi apposta sul frontespizio quella affettuosa: «A Carlo Bo, che ha un posto in Urbino (anche nel cuore di tutti gli urbinati) dove potrà e meriterà di salvarsi». Oppure quella di Franco Fortini in Sere in Valdossola, scrittore che non era nelle corde dello studioso al quale ispirò il celebre epigramma, il più breve di tutta la nostra letteratura: «Bo [titolo] / No [testo]». Tutto era nato da un saggio del 1949, I pericoli della letteratura, dove il critico individuava nella politica un elemento che ostacolava la libertà espressiva della poesia, biasimato dal giovane scrittore fiorentino. È passato del tempo ma la vis dialettica è ancora presente: «Al Carlo Bo di oggi, dal Fortini di allora», scrive venticinque anni dopo. Colpisce anche la dedica sul libro di Paul Eluard dedicato a Pablo Picasso, con la…

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Le nubi nere dell’indifferenza e il sol dell’avvenire

Cosa c’è nella testa di Putin? Per provare a dare una risposta a questa domanda, concentrandosi sulle influenze ideologico-filosofiche del capo del Cremlino, il filosofo francese ma di origini russe, Michel Eltchaninoff, direttore della rivista Philosophie Magazine, ha pubblicato un libro nel 2015, l’anno dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia. Nella testa di Putin esce ora con una nuova edizione e con un nuovo capitolo (in Italia pubblicato da Edizioni e/o).

Secondo Eltchaninoff, Putin avrebbe costruito negli anni una propria filosofia-ideologia “patchwork” influenzato da Dugin (v. Left dell’8 aprile, ndr), il guru del nuovo eurasianesimo, un…

 

* L’autrice: Manuela Petrucci è psichiatra e psicoterapeuta

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La forza della nonviolenza

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 08 aprile 2022 Roma (Italia) Cronaca : Manifestazione contro la guerra organizzata dalle scuole e dalla Comunità di Sant’Egidio Nella Foto : la manifestazione a piazza Vittorio Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse April , 8 2022 Rome (Italy) News : school’s demonstration for peace organized btìy Sant’Egidio Community In The Pic : the demonstration

La richiesta del ministro ucraino Kuleba alla Nato – «dateci armi, armi, armi» – mi ha ricordato le parole del maresciallo di Francia Trivulzio al Re Luigi XII: «Per vincere una guerra ci vogliono soldi, soldi, soldi». Sì, perché la guerra non la vince chi ha ragione (in questo caso l’Ucraina), ma chi ha più capacità distruttiva (vedremo alla fine, quando fine ci sarà, se l’esercito russo o gli armamenti della Nato).

Infatti il segretario generale Stoltenberg ha detto: «Abbiamo dato sostegno per molti anni formando centinaia di migliaia di forze ucraine e ora gli alleati stanno dando equipaggiamenti per sostenervi nella difesa. È urgente un ulteriore sostegno e oggi affronteremo il bisogno di più sistemi di difesa aerea, armi anticarro, armi leggere e pesanti e altro». Ma al governo ucraino questo non basta ancora, tanto che Kuleba è arrivato a dare dell’ipocrita a Stoltenberg: «Chi dice vi do armi difensive ma non offensive è un ipocrita. La differenza tra armi offensive e difensive non dovrebbe avere senso nel mio Paese, perché ogni arma usata in Ucraina dalle forze ucraine contro un aggressore straniero è difensiva per definizione».

In fondo ha ragione, anche l’utilizzo di armi tattiche nucleari, se usate per fermare o rispondere all’aggressore, può…

 

* L’autore: Mao Valpiana è presidente del Movimento nonviolento

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Non c’è spazio per la guerra nella cultura della sinistra

Le cause economiche della guerra
Nei dibattiti della Prima internazionale, César de Paepe formulò quella che sarebbe divenuta la posizione classica del movimento operaio su questo tema, ovvero l’inevitabilità delle guerre nel regime di produzione capitalistico. Nella società contemporanea, esse non sono provocate dalle ambizioni dei monarchi o di singoli individui, bensì sono determinate dal modello economico-sociale dominante. Il movimento socialista mostrò anche quale era la parte di popolazione sulla quale si abbattevano, ineluttabilmente, le conseguenze più nefaste delle guerre. Nel congresso del 1868, i delegati della Prima internazionale votarono una mozione che impegnava i lavoratori a perseguire «l’abolizione definitiva di ogni guerra», dal momento che sarebbero stati soprattutto loro a pagare economicamente, quando non con il loro sangue – e senza alcuna distinzione tra vincitori e sconfitti -, le decisioni delle classi dominanti e dei governi che li rappresentavano.

Karl Marx non riassunse in alcuno scritto le…

 

* L’autore: Marcello Musto è professore di Sociologia alla York University (Toronto – Canada) ed è un esperto del pensiero socialista e della storia del movimento operaio. I suoi scritti – disponibili su www.marcellomusto.org – sono stati pubblicati in 25 lingue.

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Tante Nazioni poco Unite

A completed resolution vote tally to affirm the suspension of the Russian Federation from the United Nations Human Rights Council is displayed during a meeting of the United Nations General Assembly, Thursday, April 7, 2022, at United Nations headquarters. UN General Assembly approved a resolution suspending Russia from the world body's leading human rights organization. (AP Photo/John Minchillo)

Mosca ha dovuto abbandonare il proprio seggio nell’organo delle Nazioni unite che si occupa di tutelare i diritti umani nel mondo. Lo scorso 7 aprile, l’Assemblea generale dell’Onu si è riunita per votare la risoluzione proposta dagli Stati Uniti e altri Stati occidentali, compresa l’Italia, per sospendere la presenza della Federazione Russa nel Consiglio per i diritti umani (risoluzione A/ES-11/L.4). La votazione si è conclusa con 93 voti a favore, 24 contrari e 58 astenuti, raggiungendo la maggioranza qualificata necessaria per l’adozione della risoluzione. A favore della risoluzione si sono espressi, oltre i Paesi redattori della proposta, numerosi Stati provenienti dall’Europa e dalle Americhe. Hanno espresso un voto contrario invece, oltre a Russia e Cina, alcuni Stati africani e del Medio Oriente, tra cui Cuba e Siria. Infine si sono astenuti Paesi di rilievo, come Messico e India, ed altri provenienti anch’essi dal continente africano e dalla mezzaluna fertile.

L’esito della votazione offre uno spaccato molto netto del…

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L’Africa e la guerra in Ucraina, un vaso di coccio tra vasi di ferro

Dopo Gheddafi è successo a Putin. Il 7 aprile la Russia è stata sospesa dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. È la seconda volta che l’Assemblea generale dell’Onu si esprime in questo modo. La prima risale al 2011, quando il governo dell’ex uomo forte libico, Muammar al-Gheddafi, venne “espulso” dal principale organismo internazionale per i diritti umani. Creato nel 2006, il Consiglio per i diritti umani è composto da 47 Paesi eletti dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Oltre a promuovere i diritti umani, la sua missione è riesaminarne regolarmente la tutela e il rispetto nei 193 Paesi membri delle Nazioni unite. In casi eccezionali il Consiglio può convocare riunioni d’urgenza.

La guerra e la violazione dei diritti umani all’ordine del giorno
Dal 24 febbraio, giorno dell’invasione russa in Ucraina, per tre volte l’assemblea generale delle Nazioni unite ha messo la guerra all’ordine del giorno. Una è… 

 

* L’autore: Jean-Léonard Touadi è giornalista, docente universitario ed ex deputato iscritto al gruppo Pd. Autore di numerosi saggi sull’Africa, è storico curatore e conduttore della rassegna stampa africana su Radio radicale

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In Russia inizia la repressione del movimento femminista contro la guerra

Il 13 aprile un tribunale di San Pietroburgo ha ordinato la detenzione preventiva, almeno fino all’1 giugno, di Aleksandra Skochilenko, attivista del movimento Resistenza femminista contro la guerra.

Skochilenko, arrestata l’11 aprile, è accusata del nuovo reato di «discredito delle forze armate russe» per avere, il 31 marzo, sostituito i cartellini dei prezzi sugli scaffali di un supermercato con scritte contro la guerra. L’artista avrebbe inoltre lasciato sugli scaffali dei prodotti alcuni pezzetti di carta sull’attacco aereo dello scorso 16 marzo al teatro di Mariupol, violando così la legge contro le fake news imposta da Mosca. Secondo il suo avvocato, a chiamare la polizia era stato un cliente del supermercato. La 31enne non è nuova alle autorità, che anche lo scorso 24 febbraio l’avevano multata per aver preso parte alle proteste in piazza a seguito dell’invasione delle truppe di Putin nel territorio ucraino. A seguito delle sue azioni era stata sanzionata con una multa di 10 mila rubli (110 euro) e aveva trascorso una notte in cella. «Sono stata appena rilasciata», aveva scritto su Instagram, lamentando il trattamento dei secondini. «Ci hanno svegliato continuamente di notte, le celle erano sporche e imbrattate di escrementi, inoltre non avevamo biancheria o coperte».

La Resistenza femminista contro la guerra ha assunto la guida del movimento di protesta in Russia. Il gruppo, costituitosi il 25 febbraio, utilizza volantini e graffiti, distribuisce copie di articoli di portali indipendenti messi al bando dal governo e stampa slogan contro la guerra su banconote e su altri oggetti. Ha aperto un numero telefonico di emergenza per fornire sostegno psicologico alle attiviste e ha istituito la Fondazione contro la guerra, che assiste le persone multate o espulse dalle università per essersi opposte alla guerra.

«La guerra è contraria a tutti gli obiettivi del movimento femminista», ha dichiarato ad Amnesty International Ella Rossman, una delle fondatrici della Resistenza femminista contro la guerra.

Il movimento ha installato 500 croci di legno in 41 città per commemorare le vittime civili della guerra. Almeno 3000 attiviste hanno preso parte ai cosiddetti “picchetti silenziosi”, indossando vestiti che riportavano scritte contro la guerra.

Finora almeno 100 attiviste di Resistenza femminista contro la guerra sono state arrestate, perquisite o minacciate. Il 30 marzo Yevgenia Isaeva, un’artista di San Pietroburgo, è stata multata di 45.000 rubli (circa 500 euro) e in seguito posta in stato di detenzione per otto giorni per “vandalismo” a causa delle sue performances artistiche.

Un’altra artista, Yulia Kaburkina, è stata arrestata il 2 aprile a Cheboksary per «discredito nei confronti delle forze armate russe» per avere, come Aleksandra Skochilenko, tolto i cartellini dei prezzi dagli scaffali di un supermercato sostituendoli con immagini di persone che manifestavano contro la guerra.

Buon venerdì.

Nella foto da Amnesty (Arseny Vesnin / Twitter): Aleksandra Skochilenko


Per approfondimenti sulla Resistenza femminista vedi Left del 18-24 marzo 2022

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