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Le multe d’estate del “Ministro di ferro”

Questa estate il ministro di ferro vuole fare capire di che pasta è fatto, quanto è forte e cattivo, come con Lui le cose cambieranno, i treni ricominceranno ad arrivare in orario e alla fine farà anche cose buone. Il primo segnale della legalità che torna di moda (insieme all’onestà tanto declamata) sarà la certezza della pena esercitata attraverso le multe. Più multe per tutti, multe come manifesti elettorali che verranno elevate perché si senta il fiato sul collo del ministro del cambiamento. Ci vogliono le palle per fare il ministro così, come lo fa Lui.

Innanzitutto si debellerà il pericolosissimo fenomeno che da anni attanaglia la sicurezza delle spiagge e la vita delle nostre donne e dei nostri bambini dando un colpo di mano a chi tutti i giorni tutte le estati attenta alla salute dello Stato: i vù cumprà. Questi terroristi dell’ammennicolo che distruggono l’artigianato da autogrill e irrompono nella quiete del cruciverba da sdraio vanno estirpati alla radice e quindi Lui ha deciso che d’ora in poi verranno multati i clienti. Qualcuno potrebbe obiettare che forse si potrebbe fare di più contro lo sfruttamento e gli sfruttatori (italianissimi e bianchissimi) di chi vende foulard e occhiali da sole sotto il caldo cocente ma il nostro eroico Ministro ha deciso che non c’è nulla di meglio che appioppare multe fino a 7.000 euro a chi commetterà il furioso reato di acquistare un pareo. Puntare contro i poteri forti, del resto è la caratteristica fondante del Ministro.

Ma questo è solo l’inizio: verranno multati i commercianti che subiscono attentati e racket perché a ben vedere è colpa loro se esistono le mafie, verranno ovviamente multati i minacciati così stupidi da denunciare e poi così costosi da dover difendere, saranno multati gli ammalati per sconfiggere una volta per tutte il problema dei costi della sanità pubblica, multeranno le vecchiette che si fanno scippare per strada e così si sconfiggeranno gli scippi, verrà istituita una multa per chi nascerà in Africa (estinguibile in comode rate fin dal lieto giorno da parte dei genitori) per anticipare i costi del carburante della nostra Guardia Costiera e infine saranno multati i poveri. Anzi no, i poveri no, per quelli c’è la multa già ideata dall’ex ministro Minniti.

E sarà un’estate bellissima. Tutti ci potremo dire che davvero il vento è cambiato e che tutti finalmente hanno paura di subire un reato e così, naturalmente, i reati caleranno. Perché non bisogna prendersela solo con i poveri stranieri, è giusto prendersela anche con i nostri. E le spiagge saranno sicure, le strade saranno sicure, le nostre case saranno sicure. Evviva il Ministro.

Buon lunedì.

A Napoli il neoliberismo non va di moda

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Vezio De Lucia, noto e stimatissimo urbanista, oltre ad aver pubblicato libri fondamentali per comprendere il declino del governo pubblico delle città italiane, ha dedicato anche molta parte della sua esperienza culturale e istituzionale alla sua città, Napoli. La bibliografia è in tal senso sterminata e va dalla ricostruzione dal terremoto del 1980 al suo ruolo di assessore all’Urbanistica delle giunte guidate da Antonio Bassolino negli anni 90. A questi ragionamenti che hanno avuto il merito di affrontare in modo sistematico la vicenda urbanistica napoletana, si aggiunge oggi un agile volume (Napoli, promemoria. Storia e futuro di un progetto per la città, con la prefazione di Tomaso Montanari, Donzelli editore) che restituisce il quadro di quaranta anni di idee e impegno.
Decenni spesi nella difesa della città pubblica, contro i tentativi della proprietà fondiaria privata di condizionare il progetto di trasformazione di Bagnoli fino ad approvare un piano che non consuma territorio in edificato ma consente solo la ristrutturazione delle volumetrie esistenti e disegna una rete di trasporto su ferro inedita nel panorama nazionale. Negli anni di deregulation, Milano è riuscita a dare un’impressione di vitalità solo con l’effimera vicenda Expo 2015. Torino, per colpa della scellerata politica delle grandi opere guidata dalle amministrazioni di centrosinistra, sta sfiorando il fallimento economico e la giunta Cinque stelle di Chiara Appendino ha tagliato il comparto culturale e pensa di privatizzare una parte dei trasporti pubblici. Le difficoltà di Genova sono testimoniate dalla crisi del sistema idrogeologico ed economico: anche lì l’azienda dei trasporti sta per essere messa in vendita. Nella Firenze dominata dal renzismo, si procede alla vendita sistematica del patrimonio pubblico. Infine, le città del sud sono…

L’articolo di Paolo Berdini prosegue su Left in edicola


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La solidarietà di Valencia, un messaggio all’Europa

“Refugees welcome”. Lo striscione che campeggia da oltre due anni sulla sede del Comune di Valencia acquista ora un significato molto più profondo. Non era solo una speranza. Nemmeno un monito. Era ed è un programma. Nell’estate del 2015 erano stati proprio los Ayuntamientos del cambio (i municipi del cambiamento, ndr) a lanciare la battaglia in favore dell’accoglienza, solo tre mesi dopo essere arrivati al governo delle città spagnole. Madrid, Barcellona, Saragozza, Cadice, La Coruña, Santiago de Compostela e, appunto, Valencia. Nel mezzo di un’Europa in cui si iniziavano ad alzare muri, la sindaca di Barcellona Ada Colau aveva proposto di creare la rete delle Città rifugio. Non poteva che essere una di queste città, Valencia, ad accogliere l’Aquarius, in stretta sintonia con il nuovo governo socialista di Pedro Sánchez.
I 630 migranti dell’Aquarius sono approdati al porto della città del Levante il 17 giugno, dopo una settimana di difficile traversata nel Mediterraneo. Li hanno accolti 2.300 persone, tra cui un migliaio di volontari organizzati soprattutto dalla Croce rossa, e una manifestazione di solidarietà, convocata dai partiti di sinistra e dalle Ong. La solidarietà è stata però straordinaria in tutto il Paese, dal momento in cui Sánchez ha deciso di accogliere la nave della Sos Mediterranée. In primis a Valencia, con il sindaco Joan Ribó, e nella regione valenzana, con il presidente socialista Ximo Puig e la vicepresidentessa di Compromís, Mónica Oltra, che già nel 2015 avevano proposto a Rajoy di accogliere 1.100 migranti bloccati in Grecia. L’ex premier conservatore però non aveva acconsentito.
Ma la solidarietà è arrivata da tutte le regioni spagnole, i cui governi si sono dichiarati disposti a dare una mano, con la Catalogna, le Baleari e i Paesi Baschi in testa. Non sono mancati ovviamente i comuni, oltre 200. Ada Colau si è detta…

L’articolo di Steven Forti prosegue su Left in edicola


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Il cinema America si riprende la sua piazza

L'evento (Foto Cinema America)

Guardare le stelle. Sdraiati su un prato, oppure seduti, con il mare vicino o tra le braccia di uno dei quartieri più belli di Roma. Aspettando che la proiezione del film cominci o che Matteo Garrone arrivi per dare il via alla serata. Questo è “Il Cinema in piazza”, il nuovo progetto dei ragazzi del cinema America. Un festival gratuito che, partito ad inizio giugno, vedrà oltre 120 film proiettati fino ai primi di settembre nelle tre arene all’aperto romane: a Trastevere e in zone periferiche della capitale come il parco della Cervelletta a Tor Sapienza e il Porto turistico di Ostia. La formula è quella già collaudata negli anni passati con l’esperienza del cinema all’aperto a Trastevere in piazza San Cosimato: titoli che spaziano dai grandi classici ai cartoni Disney, la presenza di registi di spicco per introdurre alcuni film (Garrone, Sorrentino, Verdone solo per citarne alcuni) e retrospettive dedicate ai grandi autori. Un’esperienza che solo la scorsa estate ha contato 80mila presenze nell’arco di tutto il festival. Stessa formula ma spazi che cambiano, con la conferma di piazza San Cosimato, giunta al termine di una vicenda che aveva visto il Comune di Roma, ad inizio 2018, scegliere di non concedere il luogo per il festival ma di metterne a bando il suo utilizzo. Di fatto provando a “mettere il cappello” o ad appropriarsi di un’esperienza che fra i tanti meriti, aveva avuto quello di far vivere in maniera diversa uno spazio di Roma che mai prima dei ragazzi del cinema America aveva visto un utilizzo simile. Una storia finita addirittura sulle pagine del New York Times, nella quale a difesa dei ragazzi si schierarono, oltre a gran parte dei residenti di San Cosimato e non solo, anche una lunga serie di star dell’ambiente cinematografico italiano, nonché registi del calibro di Martin Scorsese. La vicenda portò solo alla “desertificazione” della piazza, perché…

L’articolo di Simone Schiavetti prosegue su Left in edicola


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L’invasione degli ultracorpi

Tendere la corda il più possibile, è questa la strategia di Salvini. Fare in modo che chi lo ascolta abbia una sensazione sgradevole. E questo sia che chi lo ascolta sia un suo seguace o meno.Esagerare sempre. Sapere perfettamente di dire cose al limite o anche oltre la legalità. Aver capito perfettamente che le realtà percepita e immaginata vale di più della realtà vera. Gli abitanti del Paese Italia sono diminuiti e continueranno a diminuire. Paesi interi si svuotano. Intere economie che devono modificarsi in conseguenza della scarsità di popolazione. Ma il messaggio “siamo invasi, non possono venire tutti in Italia, non abbiamo posto, non c’entrano tutti” è ciò che viene accettato come realtà. La gran parte delle coppie che decide di fare un figlio lo fa in età avanzata e fa un numero di bambini insufficiente a “rimpiazzare” se stessi. Al contrario della vulgata questo fatto non dipende da un problema economico. È un tema di evoluzione della società e di chi la famiglia la fa. In primis le donne che decidono di fare o non fare figli. Il grande inganno sta svanendo. L’economia è fatta dalle persone prima che dalle cose. Forse è questo il primo dei problemi. Proviamo a chiederci perché Salvini vuole chiudere le frontiere. Qual è potrebbe essere la motivazione profonda. Credo diventi evidente se pensiamo alle ultime uscite pubbliche del papa. La prima cosa da notare è che il papa non ha detto nulla sui migranti durante il fine settimana del “sequestro” dell’Aquarius. Appena conclusa quella vicenda e prima di qualsiasi parola su di essa il papa ha parlato di aborto e di famiglia. Apparentemente una cosa che non c’entra nulla con i migranti. Invece no. Perché in verità il tema centrale della politica di Salvini e del papa è l’emancipazione della donna. Il loro vero obiettivo è impedire l’emancipazione della donna. Emancipazione intesa come possibilità di realizzare se stessa come essere umano uguale in tutto e per tutto all’uomo.

Per il papa e Salvini il ruolo della donna è lo stesso: la donna deve fare figli, deve stare a casa nella famiglia tradizionale, deve perdonare il marito che la tradisce, deve accudire i figli e farne dei bravi cristiani. Nel caso questo non accada devono crearsi le condizioni per un impoverimento generale della società e ne deve essere attribuita la colpa al crollo della famiglia tradizionale. I migranti possono disturbare questo scenario. Portano vita nuova, vitalità e pensieri nuovi nella nostra società. Il loro lavoro è ciò che può rendere di nuovo prospera la nostra società (già lo fanno pagando buona parte delle pensioni) e liberare le donne dalla schiavitù della famiglia tradizionale. Il papa è intervenuto con perfetto tempismo. La società italiana deve essere chiusa agli arrivi, nessuno deve disturbare le famiglie italiane che devono pensare a fare figli, tanti figli. Le donne devono diventare animali da riproduzione. Perché questo è il vero pensiero del papa. La realtà della donna è fare figli. Non è studiare, non è lavorare, non è realizzare un’identità. La donna non deve esistere come essere umano. Solo i maschi della specie sono dei veri esseri umani. La donna deve obbedire all’uomo, occuparsi della casa e dei numerosi bambini. E certamente, in questa pazza visione della vita umana, c’è che un aborto terapeutico diventa selezione della razza. Anche la stessa definizione rivela il pensiero razzista che anima questo papa, lui sì fintamente buono. Perché non esistono razze tra gli esseri umani. Se si dice “selezione della razza” riferendosi ad un aborto terapeutico si sta implicitamente dicendo che esistono razze umane. Si dice che le “razze” inferiori sono dei malati, esseri inferiori che vanno accettati ma che comunque sono inferiori.

Il papa non dice mai “non esistono le razze, siamo tutti uguali”. Il papa dice sempre “bisogna accogliere nella nostra comunità chi non ne fa parte”. La razza superiore e quella inferiore sono sottointese. Ed è evidente che la donna sia considerata un essere inferiore. Credo si possa dire che è un pensiero forse più razzista di quello di Salvini. La verità è che il mondo è cambiato profondamente. C’è una realtà di liberazione nei fatti delle donne che se ne infischiano altamente di quello che dice il papa loro di fare. Ci vorrà ancora tempo ma la strada è segnata. Salvini, Trump, Orban sono colpi di coda, certamente molto pericolosi, ma che non potranno nulla contro una prospettiva di realizzazione della donna che sarà sempre maggiore e sarà ciò che permetterà di sviluppare una nuova umanità e quindi una nuova politica di sinistra. Sànchez in Spagna forse lo ha capito o magari solo intuito e ha formato un governo in maggioranza di donne.

Saramago lo ha scritto. In Cecità racconta come è una donna a guidare chi non vede più. La donna che riesce a non diventare anaffettiva, che non viene cambiata nell’essere senza emozioni dall’omologazione, come nell’Invasione degli ultracorpi. La donna che reagisce e che permette a tutti gli altri di restare umani.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola


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La coerenza di Trump: Stati Uniti fuori Consiglio per i diritti umani dell’Onu

Certe cose non avvengono per caso. Nelle stesse ore in cui il presidente Trump faceva indignare mezzo mondo intimando di reprimere l’immigrazione messicana al confine con il Texas separando i bambini dai loro genitori, l’ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, Nikki Haley, annunciava l’abbandono del Consiglio Onu per i diritti umani da parte degli Usa. Una mossa più volte prefigurata da Trump, e ora ufficiale, stizzito dalla lunga serie di risoluzioni di condanna nei confronti di Israele per le sue politiche di “gestione” della questione Palestinese.

In particolare l’ambasciatrice Haley citando 5 risoluzioni anti-Israele approvate tra febbraio e marzo ha messo a confronto il dato con le risoluzioni adottate nello stesso periodo contro Corea del Nord, Iran e Siria: una a testa. «In questo modo – secondo Haley – Israele sarebbe stato giudicato, in materia di diritti umani, da un’assemblea in cui spesso siedono in cattedra, a impartire lezioni, i rappresentanti delle peggiori dittature». Tanto la Haley, quanto il segretario di stato Mike Pompeo, hanno poi ribadito il concetto ai giornalisti, citando rispettivamente il Congo e il Venezuela come esempi di Paesi, che, nell’attuale composizione dell’assemblea, sono beneficiati del diritto ad ergersi a giudici assai impropri di diritti umani. «Il Consiglio – si legge ancora nel durissimo comunicato USA – ha reso i diritti umani materia di barzelletta, e l’impegno nordamericano in tale campo non è più a lungo compatibile con la permanenza in tale sede». Non una parola di critica è stata spesa nei confronti del governo israeliano che nelle ultime settimane in occasione della Marcia del ritorno celebrata dai palestinesi di Gaza non si è fatto problemi a sparare, uccidere e ferire centinaia di civili che manifestavano pacificamente vicino al confine.

A tal proposito, il 18 maggio scorso, l’Onu ha approvato una risoluzione di condanna di Israele per crimini di guerra, con 31 voti a favore, 14 astenuti e solo Stati Uniti ed Australia contrari.

Tornando al contenuto del comunicato, va detto che in realtà contro la Siria nella 37esima sessione del Consiglio Onu per i diritti umani sono state emesse due risoluzioni e non una, e che oltre a Corea del nord e Iran, anche Myanmar e Sud Sudan (stremato dalla guerra civile e che proprio in queste ora ha visto sfumare l’ennesimo tentativo di tregua tra le due parti in conflitto da cinque anni) sono stati messi sul banco degli imputati. Sta di fatto che Israele – a causa del conflitto palestinese – è incluso dal 2007 nell’agenda Item 7 del Consiglio Onu per i diritti umani. È cioè oggetto di un monitoraggio speciale, che fa sì che il numero, e il merito, delle risoluzioni sia spesso sentito da Tel Aviv (e da Washington) come del tutto sproporzionato.

In ottica Usa, invece, è significativo il fatto che uno dei dossier più “delicati” trattati dal Consiglio Onu appena ripudiato riguardi le condizioni di detenzione degli immigrati negli Stati Uniti, la separazione delle famiglie di immigrati, le condizioni di accesso alla difesa per immigrati e detenuti comuni, la condizione delle donne detenute, delle giovani madri accusate di far uso di droghe, e per questo ricoverate in centri per malattie mentali nonché di tutti i detenuti ricoverati per disturbi mentali. Erano i tempi degli arresti arbitrari e delle torture di Guantanamo. Guardando le strazianti immagini di bimbi messicani di 3-4 anni separati a forza dai genitori, poi ricongiunti, dopo le pressioni internazionali, ma in carcere, la situazione oggi non appare poi così diversa.

Il declino di un leader, nuova condanna in Romania per Liviu Dragnea

epa06828296 (FILE) Liviu Dragnea the president of the Romanian Parliament's Deputy Chamber and the leader of the main ruling party PSD (Social Democracy Party) addresses his supporters during a rally, in Bucharest, Romania, 09 June 2018 (issued 21 June 2018). The High Court of Cassation and Justice of Romania sentenced Dragnea for three and a half years in prison in the case called 'DGASPC' in which the President of Chamber of Deputies was accused of instigating to abuse of public function and of incitement to intellectual forgery. This is the first sentence and Dragnea can appeal this verdict. EPA/BOGDAN CRISTEL

Hanno protestato contro la classe dirigente del loro Paese per due inverni, al gelo, mentre fioccava la neve e la temperatura continuava a scendere. Poi il verdetto di cui la Romania aveva bisogno è arrivato nei primi giorni caldi d’estate. A Bucarest, il politico romeno più potente, Liviu Dragnea – leader del partito socialdemocratico – , è stato condannato a tre anni e sei mesi di carcere per abuso d’ufficio. Per Dragnea la seconda condanna dopo quella per frode elettorale, commessa durante il referendum del 2012, una sentenza che gli aveva impedito di diventare primo ministro nel 2016, quando il suo partito è uscito vittorioso dalla sfida alle urne.

Dopo retromarce e stalli, intimidazioni e arresti, questa è la prima vittoria del movimento civile #rezist, dei giovani di Bucarest, delle corti di giustizia. La Romania che è tornata in piazza mese dopo mese dal 2017 – con le più grandi proteste di piazza mai viste dopo il 1989 – , ha continuato a chiedere di smettere di essere uno dei Paesi più corrotti d’Europa.

«Questo verdetto è esattamente quello di cui la società rumena aveva bisogno per mantenere viva la fiducia nella democrazia, per credere che siamo ancora un paese europeo, non una dittatura dello stesso genere di quella di Orban o Erdogan» ha detto Dan Barna, leader dell’opposizione. Dragnea deve fare passi indietro e lasciare per sempre la politica: «È inaccettabile per qualsiasi Paese avere un individuo doppiamente condannato in una posizione di influenza della legge».

Troika addio, Atene si riprende la libertà?

ATHENS, GREECE - APRIL 26: European Commission Chief Jean-Claude Juncker (L) is welcomed by with Greek Prime Minister Alexis Tsipras (R) in Athens, Greece on April 26, 2018. (Photo by Ayhan Mehmet/Anadolu Agency/Getty Images)

La data importante è il 20 agosto, quando finisce ufficialmente l’ultimo programma di “salvataggio” della Grecia, quello da 86 miliardi, deciso con la pistola sul tavolo in un infuocato week end di luglio di tre anni fa. Sarà la fine dell’incubo iniziato nel 2010, quando la famigerata Troika (Commissione europea, Bce, Fmi), ha preso controllo, con pratiche coloniali, delle finanze greche. Per sapere però in che condizioni sarà lasciata la Grecia dopo la fine del “commissariamento”, bisogna considerare le decisioni prese dall’eurogruppo riguardo il debito greco, circa 310 miliardi, quasi il 178 per cento del Pil. Un debito insostenibile, oramai lo riconoscono tutti. Bisogna alleggerire.
Il quadro era già emerso nelle recenti visite ad Atene del presidente del Meccanismo europeo di stabilità (Esm), Klaus Regling, e del vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis: rinviare di qualche decennio alcune scadenze, acquistare i costosi debiti contratti con il Fondo monetario internazionale (Fmi), restituire alla Grecia una parte dei miliardi dei profitti fatti dalle banche europee con i bond greci, estendere l’attuale periodo “di grazia” (cioè senza interessi) oltre il 2020. Il Fmi insisteva per tagli drastici, ma Berlino si è opposta: oramai il debito greco è quasi completamente in mano a istituzioni pubbliche e il governo tedesco non saprebbe come spiegare ai suoi cittadini un generoso taglio del debito di un Paese descritto per quasi un decennio come un covo di scrocconi e nullafacenti. Tanto più che rischiava di essere un “pericoloso precedente” per gli italiani.
Rimane indefinito…

 

L’articolo di Dimitri Deliolanes prosegue su Left in edicola


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La vigliaccheria del forte con i deboli, debole davanti ai forti

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini durante la trasmissione Rai "Porta a Porta" condotta da Bruno Vespa, Roma, 20 giugno 2018. ANSA/ANGELO CARCONI

«Salvini è stato eletto in Calabria, durante un suo comizio a Rosarno tra le prime file c’erano uomini della famiglie Pesce, storica famiglia della ‘ndrangheta affiliati alla famiglia Bellocco, potentissima organizzazione di narcotrafficanti. Non ha detto niente, da codardo non ha detto niente contro la ‘Ndrangheta. Ha detto che Rosarno è conosciuta nel mondo per la baraccopoli e che quello è il suo problema, un feudo ‘ndranghetista da decenni. Questo è Matteo Salvini»: non poteva dirlo meglio ieri Roberto Saviano, dove sia tutta la vigliaccheria del peggior ministro degli Interni mai avuto in Italia, che ancora una volta monopolizza il dibattito pubblico coagulando le diverse fazioni e spargendo bile, questa volta sulla scorta di Saviano.

Matteo Salvini è una “truffa politica”, mediaticamente “un pacchista”, uno di quelli che nel piazzale dell’autogrill ti convince di poter avere qualche sfizio costoso a un prezzo inimmaginabile, pronto poi a svignarsela nel tempo in cui ci si accorge di avere acquistato un mattone al posto di un’autoradio.

Come tutti gli “uomini senza qualità” ha bisogno di un nemico per esistere poiché la sua idea è il niente. Solo che, come si conviene agli spargibile di quart’ordine, non ha nemmeno il polso per prendersela con i cattivi che contano quindi si ostina a proiettare come fonte di tutti i mali gli ultimi del mondo: lascia in mare aperto donne e bambini e non ha trovato un secondo per dire qualcosa sull’italianissimo Paolo Di Donato che ieri con altri 4 è stato arrestato a Benevento con l’accusa di truffa ai danni danni dello Stato, falso e corruzione per essersi arricchito sulla pelle dei migranti. Non ha le palle di dirci qualcosa sul vecchio amico Roberto Formigoni (che la Lega ha servito strisciando per anni) a cui ieri sono stati sequestrati 5 milioni di euro per la corruzione che stava dietro la gestione dei rinomati ospedali Maugeri e San Raffaele. Non ha avuto la decenza di discutere in Europa (dove per anni è stato profumatamente pagato per oziare nella sua perenne campagna elettorale via social) il trattato di Dublino che ora contesta. Non gli scappa un solo cenno di dissenso per i ricchi del mondo che continuano ad arricchirsi sulle spalle di un mondo in rovina. Non ha nemmeno un briciolo di coraggio per scrivere un tweet su quanto sia immensamente grande (rispetto a quello di cui si occupa tutto il giorno tutti i giorni) il mercato delle mafie e della corruzione.

Salvini non parla di mafiosi, corrotti e corruttori perché ne è piena la storia del suo partito, dei suoi predecessori, dei suoi alleati nei comuni e nelle regioni e di alcuni suoi attuali sostenitori. Salvini scarica Giulio Regeni perché se la fa sotto se Al Sisi fa la voce grossa. Salvini imita Trump e quello, per rendere chiaro quanto non se lo fili nemmeno di striscio, riesce addirittura a fare i complimenti all’invisibile premier Conte. Salvini dichiara di avere l’onore di incontrare papa Francesco e quello lo smentisce. Salvini l’altro ieri ha applaudito i carabinieri che a Lamezia hanno arrestato 5 rom ma non li ha applauditi (disdetta, erano sempre loro) quando confiscarono i beni alla moglie del suo deputato Furgiuele per reati di mafia.

Tutto così: uno strabico per viltà che non centra mai l’obiettivo grosso e che confida sul fatto che le piccole disperazioni bastino per sembrare un rivoluzionario. E invece sotto il rumore delle sue sparate cova il silenzio si cattivi che contano. E se ne accorgeranno tutti, prima o poi. Anche quelli che oggi, suoi alleati, sperano che qui fuori ci si dimentichi che il silenzio è complice.

Buon venerdì.

(P.s. per quelli che dicono «rispondendogli gli fate un piacere»: risponderemo colpo su colpo, tutti i giorni se servirà, come abbiamo già scritto qui e come dice chiaramente la copertina del numero in edicola da oggi)

Lo spettro del Ventennio si aggira per l’Europa

Chi fa politica seminando odio, facendo propaganda xenofoba e razzista non può fermarsi: per cercare di tenere in pugno l’opinione pubblica deve alzare sempre di più il volume delle parole aggressive e dei provvedimenti coercitivi e violenti. Fare il forte con i deboli in un Paese in cui l’opposizione è pressoché afona è gioco facile. Per il governo giallonero è anche un modo per nascondere il fatto che di reddito di cittadinanza, di abolizione della riforma Fornero sulle pensioni ecc. non si parla più. Così, dopo aver negato un porto sicuro ai migranti a bordo dell’Aquarius, è toccato ad alcuni attivisti di Ivrea essere identificati e schedati per aver protestato contro le inaccettabili parole di Matteo Salvini su Regeni: «Sono più importanti i rapporti con l’Egitto» (della verità, aggiungiamo noi), ha detto il ministro dell’Interno. Vietato dissentire. L’intimidazione passa attraverso identificazioni a raffica. Il governo a trazione leghista fa prove tecniche di Stato di polizia. Mentre scriviamo l’ultim’ora dice che Salvini non intende far marcia indietro rispetto alla sua scellerata idea di “censire” Rom, Sinti e Camminanti. Sono appena lo 0,3 per cento della popolazione, vivono sulla Penisola dal 1500, ma improvvisamente sono diventati loro il problema. È già accaduto nella storia. Ed ha portato alla Shoah.

Presentando il numero di Left dal titolo La banalità del male (parafrasando Arendt) eravamo tornati su quelle tragiche pagine del Novecento, fra le più buie della storia umana. La logica dello sterminio che puntava a cancellare rom, ebrei, comunisti ecc, era basata su un totale annullamento della realtà umana dell’“altro”, percepito come cosa inanimata, essere submano, «insetto». Come animali vennero trattati e uccisi etiopi, eritrei, libici. È la drammatica storia del nostro passato coloniale e fascista con cui non abbiamo mai fatto fino in fondo i conti, di cui troppo poco sappiamo, a cui troppo poco spazio è dedicato nei programmi scolastici. È più comodo e rassicurante chiudere gli occhi e credere alla favola «italiani brava gente». Ma poi succede che non faccia scandalo che un esponente di Forza nuova dica «riprendiamoci la Libia», anche in tv. In quella Libia dove i fascisti si resero colpevoli di un genocidio negli ultimi anni si sono moltiplicati i lager in cui vengono segregati i migranti, anche grazie agli accordi presi dal governo Pd di Gentiloni con la guardia costiera libica a cui abbiamo indirettamente affidato il compito di fare da cane da guardia. Sulla strada aperta da Minniti, il predecessore di Salvini all’Interno, ora il governo legastellato propone di costruire in Libia e in altri Paesi degli hotspot militarizzati, esternalizzando le frontiere in Africa. Con la complicità di Macron, della Merkel e il plauso dei Paesi del blocco di Visegrad. In cui spicca l’Ungheria nazionalista e xenofoba di Orban che ha annunciato l’inserimento in Costituzione del divieto di accoglienza per contrastare l’introduzione di quote obbligatorie di migranti nella Ue. Fra i fantasmi del passato che aleggiano sul prossimo appuntamento europeo del 28 e 29 giugno c’è anche quello della ricomposizione di un asse Italo-austro-tedesco. Contro i migranti. Un asse rafforzato dalla Baviera ultra conservatrice e bigotta rappresentata dal ministro dell’Interno Seehofer, leader dell’Unione cristiano sociale (Csu). Insieme ad altre potenze mondiali l’Europa ha invaso l’Africa spolpandola delle sue risorse (petrolio, diamanti, gas, coltan, terre) generando così migrazioni forzate.

Ora se dovesse prevalere la linea Salvini-Orban-Kurz quella stessa Europa diventerebbe una sclerotizzata fortezza. Il progetto di rafforzare la polizia (Frontex) e i controlli ai confini a nostro avviso non può essere la risposta. Il Consiglio europeo presieduto dalla Bulgaria appare bloccato, incapace di prendere una decisione sulla riforma degli accordi di Dublino e il rischio è che venga rinviata al prossimo semestre che sarà guidato dall’Austria dell’ultra conservatore Kurz. La sinistra italiana ed europea non può restare in silenzio, occorre una visione delle politiche migratorie, urge aprire canali umanitari, togliere quei muri che generano meccanismi perversi per cui chi emigra è costretto a rischiare la vita e a sottomettersi al giogo e ai prezzi dei trafficanti. Un meccanismo perverso che genera un feroce darwinismo sociale. «In Europa in questo modo arrivano solo i più forti fisicamente, i più intraprendenti e più tenaci. Ma arrivano in ginocchio, umiliati, provati, indebitati», denuncia il sociologo Pietro Basso. Così i migranti saranno costretti a lavorare a testa bassa senza protestare. L’obiettivo dei populisti sovranisti è fare di loro dei nuovi schiavi.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola


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