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C’è già chi lo chiama quarto polo

«In fondo, a sinistra, ci sono certo le europee del 2019, quando servirà una lista capace di oltrepassare lo sbarramento del 4 per cento. Ma, prima ancora, ci sarà l’autunno. Sarà allora che prenderanno forma le politiche sociali ed economiche del governo Lega-M5s prefigurate finora dal succedersi incalzante dei tweet più che dai fatti concreti. In un mese, l’esecutivo ha prodotto solo due decreti – uno sul tribunale di Bari, l’altro sul rinvio a gennaio della fatturazione elettronica per i benzinai – e un blando decreto “dignità” che, dopo un avvertimento di Confindustria, non ha intaccato il Jobs act. «Ma se non tocchi il Jobs act, di quale dignità parliamo?», si chiede Viola Carofalo, portavoce di Potere al popolo.
Di concreto ci sono solo la blindatura dei porti, l’esternalizzazione delle frontiere, la guerra alle Ong, il corollario di stragi nel Mediterraneo contro cui prova a ritessersi la trama di un’opposizione sociale e politica che deve resistere sia alle sirene del “fronte repubblicano” – lanciato proprio da chi ha preparato il terreno per la xenofobia – sia alle tentazioni di un populismo versione “di sinistra”. C’è chi lo chiama già “quarto polo”, da quando De Magistris, alla fine di maggio, ha annunciato di essere «pronto a una stagione davvero nuova», «qualcosa che valorizzi le differenze, accanto a gente non compromessa». Un mese dopo, nella Sala del Consiglio della città metropolitana, nell’ex convento di S. Maria La Nova…

L’articolo di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola


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Dov’è la ripresa economica per i cinque milioni di poveri?

ROME, ITALY - JULY 11: Two elderly women in front of their home during the visit in Tor Bella Monaca district of the mayor Virginia Raggi for emergency mice denounced by citizens,on July 11, 2016 in Rome, Italy. (Photo by Simona Granati/Corbis via Getty Images)

«Chi sono, oggi, i poveri? Indubbiamente i migranti che fuggono senza posa da guerre, disastri climatici, land grabbing, carestie. Ma c’è una povertà di nuova natura, diffusa ovunque, imposta dalla disoccupazione di massa come fenomeno strutturale, dalla privatizzazione del welfare (istruzione, sanità, previdenza), dalla sotto-occupazione e dalla svalorizzazione oltre misura del lavoro». Lo scrive Francesco Raparelli, in uno tra i commenti a margine dell’ultima edizione del Manifesto di Marx ed Engels (Ponte alle grazie, 2018). E lo confermano, in modo spietato, gli ultimi dati dell’Istat. Preoccupanti. I cosiddetti “poveri assoluti” aumentano, e arrivano a superare, pur di poco, quota 5 milioni. Sono circa 300mila in più rispetto al 2016. Non solo: si tratta del valore più alto dall’inizio della serie storica, che parte dal 2005. E più di un milione fra loro sono minori.

Un trend allarmante, che costringe a fermarsi e riflettere sui dati. «Purtroppo, il fenomeno conferma una tendenza che prosegue dagli scorsi anni, ma c’è un elemento nuovo. Sta ricominciando a crescere la povertà tra gli anziani». A commentare per Left l’ultimo report Istat è Chiara Saraceno, sociologa e filosofa, conosciuta nel mondo per i suoi studi sulla questione femminile. Ma anche sulla famiglia e – appunto – della povertà. «Durante tutto il periodo della crisi gli anziani erano rimasti protetti – spiega – grazie alla pensione. Invece adesso, quel minimo di ripresa dell’inflazione ha inciso sulle loro condizioni, anche se tutt’ora sono fortissimamente più al riparo rispetto ai minori, che resta il gruppo d’età più colpito».

L’incidenza della povertà assoluta, a fronte di una lieve diminuzione tra i ragazzini e i bambini (siamo comunque all’esorbitante cifra del 12,1%), segna rispetto all’anno scorso…

L’inchiesta di Leonardo Filippi prosegue su Left in edicola


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La legge dell’uguaglianza

L’uguaglianza è una delle caratteristiche delle specie animali. Tutti gli individui di ogni specie sono uguali tra loro. Naturalmente ci sono delle variazioni che sono determinate dalla variabilità del Dna, variabilità che è fondamentale per fare in modo che la specie si adatti nella maniera più veloce ed efficiente all’ambiente. La specie umana, per quello che riguarda la sua biologia, non fa differenza. La variabilità dei caratteri somatici deriva da una variabilità genetica che si è sviluppata nel corso del tempo per adattarsi ai contesti ambientali più diversi. È banale l’osservazione che la pelle nera sopporta meglio la grande quantità di raggi ultravioletti che arrivano dal sole della pelle bianca. Nel momento in cui l’essere umano si è spostato dall’Africa verso altri luoghi meno assolati, l’adattamento ha fatto si che la pelle cambiasse la quantità di melanina prodotta. Ogni specie ha caratteristiche specifiche che sono il frutto dell’adattamento all’ambiente.

Questo processo si chiama selezione naturale ed è la scoperta che Darwin ha fatto molto prima della scoperta del Dna e che ne ha confermata la correttezza. Nell’ambito di ogni specie animale è possibile fare una classificazione tra individui diversi, perché hanno caratteristiche diverse. C’è il cane grande e il cane piccolo, quello con il pelo riccio o con il pelo liscio, quello più veloce e quello più forte. Così come c’è la mucca che fa più latte rispetto a quella che ne fa meno. C’è il cavallo che corre più veloce rispetto al cavallo che invece è più forte e riesce a trainare più peso. Tra gli animali, potremmo dire, le razze esistono. Nella specie umana invece no. Perché la realtà umana non è solo la realtà fisica. Gli esseri umani sono tali per un pensiero che è caratteristica unica della specie umana. Certo anche gli animali hanno un “pensiero”. Anzi direi di più, gli animali oltre che un pensiero hanno anche degli “affetti”. Ma entrambi, sia il pensiero che gli affetti, sono esclusivamente finalizzati alla sopravvivenza. Sono caratteri che si sono sviluppati nel tempo e che hanno una utilità pratica.

Il pensiero e gli affetti umani hanno invece la caratteristica di non essere esclusivamente utili alla sopravvivenza. Anzi possiamo dire che il fine primario dell’essere umano non è l’utile. Il pensiero umano può esprimersi con l’arte, con la musica, con la poesia tutte cose che non hanno alcuna utilità pratica se non essere una libera espressione di chi le crea. La libera espressione artistica, l’amore tra due esseri umani, l’amore di un bambino per la madre, sono espressioni di un pensiero non razionale che è caratteristica solo e soltanto umana. È un pensiero che esiste per e con gli affetti che ne sono il contenuto. Un pensiero che vuole il bene dell’altro senza nulla in cambio. Dove il bene dell’altro è la realizzazione dell’altro che diventa anche propria realizzazione. Il pensiero dell’utile è quello razionale. È quello della sopravvivenza. È il pensiero degli animali che pensano alla propria sopravvivenza. Allora si possono distinguere bisogni, relativi alla sopravvivenza, ed esigenze, relativi alla realizzazione umana.

I bisogni sono comuni con gli animali: la necessità di nutrirsi, di scaldarsi, di proteggersi dalla pioggia e dal freddo, di proteggersi dalle aggressioni esterne. Le esigenze sono esclusivamente umane: perché è ovvio che non esiste animale che senta l’esigenza di cantare per rappresentare il proprio amore per l’amata. Questa distinzione bisogni-esigenze è stata fatta da Massimo Fagioli, lo psichiatra che ha scoperto come la mente si crei per reazione allo stimolo assolutamente nuovo che il bambino trova alla nascita: la luce. Uno stimolo cui il feto non è preparato a rispondere. Qualcosa in effetti di mai visto prima a cui la sostanza cerebrale della retina degli occhi del feto reagisce con un “pensiero”: il mondo non esiste. Allo stesso tempo l’esistenza della realtà fisica del corpo del neonato fa si che il pensiero di non esistenza sia un pensiero di esistenza di una realtà simile a se stesso. Esso pensiero è per la memoria del precedente, della realtà che è stata del feto nel liquido amniotico. In realtà non è memoria perché non c’era il pensiero. È il primo pensiero di ogni essere umano ed è una fantasia di esistenza di qualcun altro. E di rapporto con quel qualcun altro.

L’uguaglianza di fondo tra tutti gli esseri umani è in questa dinamica di formazione del pensiero alla nascita e nel contenuto di quel pensiero. L’esistenza degli altri. Questo permette di comprendere che la propria realizzazione è ciò che permette la realizzazione dell’altro. E viceversa. La realizzazione a scapito dell’altro è veleno per se stessi, ci fa diventare meno umani ogni volta che essa si realizza. Ed in effetti non è veramente una realizzazione. Forse Marx aveva capito che lo sfruttamento del lavoro con il solo fine dell’utile è il vita-mea mors-tua che non serve a nulla perché diventa mors-mea mors-tua. Ma non aveva capito che la redistribuzione del capitale, ossia la soddisfazione dei bisogni di tutti, non è ciò che fa la realizzazione umana. Soddisfare i bisogni è necessario ma non è sufficiente! L’evoluzione scientifica, medica, tecnologica, economica permetterebbe oggi di soddisfare i bisogni di tutti gli esseri umani.

È ora di vedere che l’uguaglianza di tutti è in quel pensiero profondissimo, nascosto in ognuno di noi, che si è formato alla nascita.
E poi di riconoscere che la diversità è data dalla ricerca che ognuno di noi fa incessantemente in modo unico ed originale per ritrovare la propria nascita.
La verità umana più profonda è alla nascita. È in quel primo pensiero di esistenza degli altri. Ed è ciò che rende l’essere umano un “animale sociale”.

L’editoriale di Matteo Fago è tratto da Left in edicola


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Alle radici culturali del razzismo

Un momento del sit-in di protesta a Napoli a seguito dell'omicidio di Soumaila Sacko, migrante maliano di 29 anni, uccisio a colpi di fucile a San Calogero (Vibo Valentia) 4 giugno 2018. ANSA/ CIRO FUSCO

È ormai comune considerare una conseguenza della crisi economica la xenofobia e il razzismo dilaganti, sui quali Matteo Salvini sta costruendo il proprio potere. Come se, per difficoltà economiche, un essere umano potesse disprezzare e discriminare, fino ad ammettere l’abbandono a mare, la compravendita di esseri umani, la schiavitù. Ogni giorno ascoltiamo intellettuali e pensatori di sinistra sostenere che, se si blocca “l’ascensore sociale”, emerge in ciascuno una tendenza innata alla sopraffazione dell’altro: terrori ancestrali, da sempre nel nostro “originario”, verrebbero proiettati sullo straniero.

Di recente, nelle sei giornate di studio su “L’origine dell’umano”, organizzate a Roma da Venti secondi, con la partecipazione di esperti di architettura e archeologia, arte, linguaggio, economia e politica, è emerso, con assoluta chiarezza, che nella storia dell’Homo sapiens, lunga 200.000 anni, non si è fatto ricorso alla guerra e alla violenza come modalità di regolazione dei problemi di convivenza fino a 5-6.000 anni fa. Che dunque la violenza e i terrori ancestrali proiettati sullo straniero non siano affatto propri della natura umana, ma siano invece il prodotto di una distorsione culturale storicamente determinata?

Giuseppe Di Vittorio era un bambino di sette anni quando vide morire di fatica suo padre bracciante nella Puglia del 1899. Dovette lasciare la scuola e fare il bracciante con altri bambini come lui. C’erano il caporalato e i proprietari terrieri. Fu massacrato di botte con un compagno della sua età, che ne morì, perché avevano osato chiedere più pane per sfamarsi dopo una giornata di lavoro. Capì che il problema era…

L’articolo della psicologa e psicoterapeuta Elena Ilardi prosegue su Left in edicola


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Eisbolè, il teatro civile scende al Sud per contrastare la narrazione tossica sui migranti

Da Cascina, provincia di Pisa a Riace e Cinquefrondi, provincia di Reggio Calabria. Lo spettacolo teatrale Eisbolé (“invasione” in greco antico) continua il tour di repliche ma ha bisogno di sostegno. Giusi Salis e Fiamma Negri, autrici e interpreti di Eisbolé, lanciano una raccolta fondi per portare nei comuni calabresi lo spettacolo cha ha debuttato a Cascina lo scorso dicembre.

La scelta dei luoghi non è casuale. Cascina è il primo comune toscano ad aver eletto un sindaco della Lega, Susanna Ceccardi; Riace e Cinquefrondi sono al contrario amministrate da due sindaci che fanno dell’inclusione e della difesa dei beni comuni la loro bandiera politica. E anche il teatro delle due autrici è politico, civile, e di resistenza culturale e umana.

«Utilizziamo lo strumento della dissacrazione e dell’ironia per cercare di instillare nel pubblico il dubbio della ragione sui temi dell’integrazione, dei conflitti, della precarietà sociale e dei diritti. Chi ruba il lavoro a chi? Quale è casa nostra e quale casa loro? E quello che acquistiamo dove e con quali costi umani viene prodotto? – spiegano le autrici – Questa estate saremo in Calabria, il 5 agosto al Riace in Festival e il 7 agosto a Cinquefrondi, ospiti della Rete dei Comuni solidali, della quale fanno parte anche i due comuni calabresi. Abbiamo accettato un cachet che non ci consente di coprire tutte le spese ma per noi è importante dare sostegno alle loro attività a favore dell’inclusione e contro la discriminazione».

Un’ora e mezzo di spettacolo durante il quale si riflette ridendo accompagnati dalla piacevole leggerezza del pensiero che, come insegna Calvino, non è superficialità ma al contrario un planare sulle cose dall’alto senza avere macigni. Un’operazione di gentile ma costante scalfittura teatrale che sembra riuscire a graffiare il muso nero della peggiore politica nostrana. Quella che parla di pacchia e di crociera per i migranti sfiniti in arrivo sulle coste italiane, o di zero quando si riferisce al valore del sindaco di Riace Mimmo Lucano, riconosciuto come una delle più influenti persone al mondo secondo la classifica di Fortune per aver fatto di Riace un esempio virtuoso nell’accoglienza ai migranti.

Michele Conia, sindaco di Cinquefrondi, è invece il promotore del nuovo movimento culturale e politico Il Sud che sogna, già raccontato da Left, che riunisce una fitta rete di comitati, associazioni e singoli militanti che vogliono, e si mobilitano, per un Sud diverso: istruzione e cultura accessibili a tutte e tutti, sanità efficiente che eviti spostamenti estenuanti e costosi, acqua pubblica, rispetto e tutela dell’ambiente, energie rinnovabili, strategia rifiuti zero, messa in sicurezza del territorio, sviluppo del turismo sostenibile, azioni di contrasto civico e culturale alla criminalità organizzata e alla corruzione, progetti a sostegno della creazione di posti di lavoro.
«Il teatro, come la vita, è politica. In questo particolare momento storico avvertiamo l’assoluta necessità di contrastare il “vento del cambiamento” sui temi della solidarietà, dell’inclusione e della dimensione collettiva e umanitaria del nostro agire. I “nemici” non sono certo le persone più povere di noi, ma le speculazioni finanziarie, la corruzione e le ingiustizie sociali» concludono le due autrici.

E come è scritto nel manifesto programmatico del movimento Il Sud che sogna: “Se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna in tanti è la realtà che comincia (proverbio africano)”.

Alla sinistra europea servono dialogo e pluralismo, Mélenchon sbaglia

Essendo stato nel Partito della sinistra europea dalla sua fondazione e tuttora da iscritto individuale e osservatore nel bureau per l’Altra Europa con Tsipras sono molto attento a ciò che succede in questa realtà. Anche perché sono convinto che la dimensione europea sia la chiave della rifondazione dell’agire politico. Ho letto dunque con attenzione l’articolo “Mélenchon lascia il partito della sinistra europea”. Dico subito che mi dispiace della scelta del Partì de gauche di uscire dal Partito della sinistra europea.

La scelta segue la richiesta fatta allo stesso Partito della sinistra europea di allontanare Syriza. Questa richiesta fu respinta all’unanimità in una riunione a cui ho partecipato anche io, condividendo quel voto unanime. Che fu espresso anche da chi ha posizioni molto critiche su Syriza e diverse sulla Unione europea.

Gregor Gysi presidente del Partito della sinistra europea ha spiegato che in questo partito sono possibili tutte le critiche ma non si caccia nessuno. E questo ha ricordato dopo la decisione del Partì de gauche di uscire. Ricordo per altro che la nuova creatura di Mélenchon, la France insoumise, non ha mai aderito al Partito della sinistra europea.

Il partito della Sinistra europea e il Gue (di cui fanno parte soggetti più ampi di quelli del Partito della sinistra europea e dove sono stato come parlamentare europeo) sono costruzioni importanti, complesse, collettive e plurali che hanno contribuito in modo decisivo a far vivere una sinistra alternativa in anni durissimi come il dopo il 1989. Ci sono riuscite. Oggi, a trent’anni dal 1989 si vedono gli sfasci creati da certe sinistre che si sono arrese, hanno collaborato col liberismo e ora sono in crisi drammatica.

Per questo oggi le sinistre alternative sono preziose ed hanno una grande responsabilità. In questi anni si sono cimentate anche con passaggi difficili come quelli del governo. In Italia, in Francia, in Portogallo, in Grecia. Tutte esperienze che si possono criticare. Ma io penso che nessuno, in questo campo, ha mai fatto propria l’ideologia dell’avversario come invece accaduto ai socialisti. Sono nate anche nuove esperienze, come Podemos, con storie e percorsi propri. E tutte le “vecchie” forze sono attraversate da dibattiti. Ci sono forme anche diverse di ritrovarsi, come quella di Diem. Ci sono intrecci importanti in molti Paesi dove stanno insieme in Unidos Podemos che non sta nel Partito della sinistra europea e Isquierda Unida che invece ne è parte.

Il pluralismo e la discussione politica sono giusti. Cercare di fare di più di quello che esiste è fondamentale. Ma io sento che abbiamo tutti una responsabilità di fronte alla nuova situazione, al disastro della Ue, alle destre, al crollo dei socialisti, ai diritti dei migranti e contro l’austerità. Questa responsabilità io nel mio piccolo la voglio esercitare. La responsabilità di accrescere la lotta e di cercare l’unità. Proprio perché nel 1989 non mi sono arreso ma ho provato a rifondare.

A 50 anni dal film dei Beatles, torna in un libro “Yellow Submarine”. Ed è subito poesia

Cinquant’anni dopo torna Yellow Submarine, la favola dei Beatles portata sullo schermo in un film visionario e poetico nel 1968 da George Dunning. Per l’occasione, Gallucci editore ha pubblicato una nuova edizione dell’albo con le illustrazioni di Heinz Edelmann e una nuova traduzione dei testi di Franco Nasi. Del libro pubblichiamo un estratto.

La copertina di Yellow Submarine, Gallucci editore, 2018

C’era una volta – o forse due – un paradiso non-terrestre chiamato… Pepperlandia. Era – o è ancora, non sono sicuro – un paese delle meraviglie, a ottantamila leghe sotto i mari, senza inverni, dove canti e risa cavalcavano la brezza, e dove non ti sentivi mai solo perché la Banda del Sergente Pepper suonava sempre la tua canzone preferita.
Ma se tu non avessi una canzone preferita o, peggio, non sopportassi la musica, spazzeresti via volentieri Pepperlandia per sempre, magari con uno starnuto. Proprio come voleva fare il cattivissimo Capo Bieco Blu.
Il Capo passò in rassegna l’esercito Bieco. «Sono pronte le truppe?»
«Pronte, Vostra Bluezza!» annuì freneticamente Max con la testa.
Le truppe erano schierate sull’attenti: il bulldog quadricefalo; i fuori di mela; i turchi azzannatori; e il terribile e clamoroso Guanto volante.
«Magnifiiico!» disse digrignando i megadenti il Capo. «Oggi, Pepperlandia la facciamo nera, anzi blu!»
Il Capitano Fred scappò per mettersi in salvo, mentre la folla si disperdeva.
«Arrivano i Biechi, arrivano i Biechi!»
Chi restò fu fatto blu dal clamoroso Guanto volante o trasformato in una statua di ghiaccio senza colore.
Il Capo Bieco Blu gongolava. «Continuate pure a suonare, tanto la musica è cibo per il Guanto!» E con la sua risata fece blu anche l’aria.
Solo Fred e il vecchio Signor Sindaco riuscirono a scappare.
«Presto, giovane Fred!» disse il Signor Sindaco ansimando.
Alla fine raggiunsero la grande piramide grigia che segnava il confine di Pepperlandia. Alla sommità una squillante striscia ocra macchiava il cielo: era un sottomarino giallo.
«La nostra musica si sta spegnendo, giovane Fred» disse il Sindaco. «Pepperlandia muore».
«Ma, Signor Sindaco, deve esserci qualcosa che possa fare!»
«C’è!» disse sottovoce il Sindaco. «Sali a bordo del sottomarino e cerca aiuto. Sei l’unico fra quelli
rimasti che può tenere in vita la musica…»
Fred salì a bordo e salpò.
Otto giorni e ottantamila leghe dopo, il sottomarino giallo riaffiorò a Liverpool.
In via della Speranza, che là chiamavano Hope Street, Ringo non sperava più.
“Liverpool può essere un posto tristissimo il sabato sera” pensava fra sé e sé. “Ed è solo giovedì mattina… Qui non succede mai niente”.
Come un pesce rosso in una pozza melmosa, il sottomarino lo seguì fino a casa.
Il Capitano Fred batté alla porta. «Ho bisogno di qualcuno, aiuto! Help
«Grazie, non m’interessa» disse Ringo.
«A come Amore, I come Immenso, U come Urge, T come Terribilmente, O come Oh, per favore, aiutatemi, help me» supplicò Fred.
Ringo aprì la porta con un cigolio.
«Il suo appello mi ha commosso… entri pure».
«Salve. Anzi: salute!»
«Ho starnutito, forse?» disse Ringo ridendo.
Ringo accompagnò Fred in un lungo corridoio.
«Sono sicuro che si potrà fare qualcosa – o come cantiamo noi, we can work it out – con l’aiuto, un piccolo aiuto, dei miei amici – with a little help from my friends».
Sbatterono contro Frankenstein.
«Frankenstein è un tuo amico?» chiese Fred.
«Oh, sì… uscivo con sua sorella… Phyllis».
Il mostro si liberò e ridivenne John.
Poi trovarono George e Paul.
«Ehi, John! Ehi, Paul! Ehi, George!» disse Ringo. «State a sentire il vecchio Fred!»
«Musica… Signor Sindaco… Sottomarino… Esplosioni… Biechi Blu» farfugliò Fred.
«Che cosa ne pensate?» disse Ringo.
«Secondo me» disse John «ha bisogno ancora di fare qualche prova».
Fred diede loro il benvenuto a bordo.
«Scusate, è tutto sottosopra, vediamo di mettere un po’ di ordine!»
«A me piace così» disse John.
«Un sotto-marino dev’essere un po’ sotto se no, se fosse solo sopra, sarebbe una barca».
«Abbiamo bisogno di un ticket to ride? Di biglietti per il viaggio?» chiese George.
«Solo se si parte per il Mystery Tour, per il viaggio misterioso» rispose scherzando Ringo.
«Chi mette in moto?» chiese Paul.
«Basta trovare un accordo» disse Ringo. «Dacci un LA, Paul!»
«Ecco, ma dove sono la leva e il pulsante per l’accensione?»
«Li ho trovati! Faccio io: sono un liverpoolsante nato» disse Ringo.
Un borbottio e i motori partirono. Poi le eliche, ruotando stabilmente a 33 giri al minuto, cantarono e rullarono il loro addio a Liverpool… e il piccolo sottomarino s’inabissò tra le onde.
Il tempo si fermò per un momento; gli orologi si battevano per un orario di lavoro più breve. Fecero rotta verso un mare mostruoso, il Mare di Mostri.
John guardò fuori dall’oblò. «C’è un banco di balene».
«Sembrano un po’ cresciute per andare ancora a scuola…» disse George.
«Andranno all’università allora… All’Università delle Baleari!» Le teiere versavano le loro pene d’amore al suono sentimentale di una cornetta alla crema. Pesci-stivale alla moda ballavano sul fondo del mare e prendevano a calci il piccolo sottomarino, finché…
…una risacca li fece vorticare e li mandò fuori rotta. Colpa dell’orribile Ciucciofante, che risucchiava qualsiasi cosa gli capitasse davanti!
«È un terribile pentolone ciucciatutto» disse George. «Che cosa facciamo?»
«Scaldiamoci un po’ d’acqua per il tè» disse John. «E tu, stammi bene, Ciuccio!»
Ma finirono inghiottiti nel ventre mostruoso dell’oblio…

 

Alcune tavole da Yellow Submarine dei Beatles, con i disegni di Heinz Edelmann (dal libro edito da Gallucci)

Yellow Submarine, uscito l’8 luglio 1968, tornerà cinquant’anni dopo, in una nuova versione restaurata, in tutti i cinema britannici. In Italia sarà possibile vedere la pellicola il 6 luglio a Roma, al cinema Caravaggio e a Milano al Teatro Guanella. Gallucci editore ha appena pubblicato due libri. Il primo è una nuova edizione dell’albo con le illustrazioni di Edelmann e il secondo è un pop-up a fisarmonica che riproduce gli stessi disegni in un formato tridimensionale.

Così Mattarella da topo diventa carrozza

Se avessero almeno un po’ di coerenza potrebbero essere giudicati seri nelle loro seppur sbagliate convinzioni. E invece niente. Nello snervante gioco di erosione degli istituti democratici del Paese il segretario della Lega Matteo Salvini ha messo nel mirino anche il presidente della Repubblica Mattarella diventato nel giro di poche settimane il nuovo argine alle sentenze politiche che si permettono di chiedere la restituzione dei rimborsi elettorali, quei 49 milioni di euro che il partito non aveva il diritto di spendere e invece ha speso, per di più in modi non chiari e con strani giri di conti correnti.

Mattarella è, per il leghista medio e per Salvini che dei leghisti è la somma sintesi, il simbolo dell’oppressione statalista nei confronti del popolo italiano eppure nelle ultime ore si chiede a lui, dopo averlo metaforicamente preso a calci per mesi, di diventare il quarto grado di giudizio che dovrebbe difendere il partito di Salvini da un indefinito attacco della magistratura.

Se Mattarella non fosse Mattarella e se il presidente della Repubblica non fosse un uomo che ha a cuore la dignità delle istituzioni verrebbe facile immaginare cosa potrebbe rispondere al nemico giurato che ora scodinzola come un falso amico solo per necessità. Il fastidio che filtra dal Quirinale è, ancora una volta, il disgusto per una mossa di propaganda che non ha nessuna rilevanza politica e nessuna declinazione nella realtà: Salvini non ha mai chiesto un appuntamento con il Presidente e, com’è suo costume ha lasciato tutto su un piano squisitamente mediatico.

«Che io non possa andare a parlare con il presidente della Repubblica mi sembra una cosa bizzarra. Non è forse il garante della Costituzione e dei diritti dei cittadini?», ha detto il leader leghista. Eppure di bizzarro c’è quel  silenzio goffo della Lega che non spiega dove siano finiti i soldi (nostri) e la grassa ignoranza di chi non si difende nei processi ma dai processi come già fece il ben noto Berlusconi.

Così, come nelle favole, Mattarella all’improvviso da topolino si trasforma in carrozza e gli elettori sono pronti ad appoggiare l’ennesima giravolta con la solita faccia di chi ripete che non c’è niente di stranoche va bene tutto così.

Buon venerdì.

L’ideologia suprematista di Salvini

epa06851312 Some of 20 migrants rescued at sea are attended by the Red Cross as they arrive to Tarifa's port in southern Spain, 30 June 2018. Rescue Maritime Services rescued a total of 20 people traveling in two small boats trying to reach the Spanish coast EPA/A.Carrasco Ragel

Lanciato all’attacco dell’Europa e pronto a imporre dazi, il ministro dell’Interno e vice premier (che di fatto gioca tutti i ruoli in questo governo) rischia di far diventare l’Ue «una repubblica di Weimar dei nostri tempi», scrive il Financial Times. Il trumpismo salviniano sui dazi (che salvaguardia Putin!) è una miccia sotto la fragile Ue. Sui rischi che comporta la politica dei dazi è intervenuto anche il presidente Mattarella, parlando al forum sul vino della Luiss. Il capo dello Stato si preoccupa del made in Italy e, per questo, ha bacchettato il ministro Salvini. Perché non l’ha fatto riguardo alla scellerata politica dei porti chiusi ingaggiata dal ministro dell’Interno e da quello delle Infrastrutture Toninelli? Perché di fronte a nuove morti causate dai respingimenti non è intervenuto in difesa dei diritti umani e dei valori fondamentali della Carta che parla di dignità umana, come valore fondante del patto costituzionale e di inviolabilità della persona umana? È accettabile che l’Italia finanzi la guardia costiera libica per riportare i migranti là dove rischiano la vita? In quanto garante della Costituzione che non prevede la tortura, già da tempo, avremmo voluto sentire la voce del presidente Mattarella levarsi in difesa dei diritti umani e contro Salvini che più di una volta se l’è presa con la Corte europea intimando (già nel 2015) ai giudici della Cedu di farsi i fatti propri. Certo, si dirà, Matteo Salvini non è il solo responsabile. Prima di lui Marco Minniti, da ministro dell’Interno, ha aperto la strada agli internamenti in Libia dove i migranti (respinti da noi) sono sottoposti a torture e stupri. Senza dimenticare che il governo Gentiloni ha fatto accordi con il Niger dove i migranti non hanno sorte migliore. Per questo diciamo che non è credibile l’opposizione al governo giallonero che viene dal neo fronte repubblicano nato dal Pd di Minniti, Gentiloni e Renzi di cui il gruppo L’Espresso si è fatto portavoce. Per questo è tanto più urgente una forte e chiara opposizione di sinistra alle politiche muscolari del suprematista Salvini («prima gli italiani») che sfrutta per un proprio tornaconto politico il dramma dei naufraghi e usa come arma di distrazione di massa la paura di una inesistente invasione di migranti.

È vero esattamente il contrario, sono i Paesi europei e le maggiori potenze mondiali ad aver invaso l’Africa depauperandola di risorse, lo ripetiamo come un mantra tutte le settimane. Se le fake news inventate da sovranisti e redivivi fascisti sono riuscite a fare breccia nell’opinione pubblica a furia di ripeterle, ripeteremo all’infinito le cifre che fotografano la realtà che i media mainstream non raccontano correttamente, facendo da megafono della propaganda di destra. Salvini parla impunemente di «retorica delle torture in Libia» negandone l’esistenza. E c’è chi lo prende alla lettera osando affermare che le strazianti fotografie dei bambini annegati sarebbero frutto di montaggi studiati a tavolino. La realtà viene lucidamente alterata, stravolta, negata, annullata. «Si prega di chiudere gli occhi». Ma noi non accettiamo di obbedire al comando. Non accettiamo di sederci su una panchina in attesa che l’ondata populista esaurisca la sua forza. Il compito più urgente che abbiamo oggi è dire no alla violenza dei respingimenti; dire no a una società armata fino ai denti in nome della «legittima difesa». Diciamo no alla militarizzazione delle città e dei confini voluta da amici di Salvini come l’ungherese Orbán che governa con il sostegno del partito neonazista Jobbik.

Quello che abbiamo ascoltato a Pontida è un’inaccettabile e pericolosa miscela di patriottismo guerrafondaio, familismo e misoginia, cattolicesimo oscurantista, culto dei morti, rivendicazione identitaria di radici legate al sangue e alla terra. La escludente retorica dell’autenticità denunciata da Adorno ritorna nel postmoderno citazionismo di Salvini che mette insieme Disney, Trump, Olivetti e il catechismo. E molto altro. Come se la storia fosse un calderone da cui si possono estrarre pezzi decontestualizzati, svuotati di senso, da riciclare. Ne esce fuori un caotico amalgama tenuto insieme dal peggior razzismo (nascosto sotto la bandiera della sicurezza nazionale). Se il carnevale di Pontida poteva ancora sembrare folclore ai tempi di Bossi ora quel rituale attovaglia tutta una serie di ministri del governo giallonero. Con tutta evidenza la Lega detta la linea ai grillini, nonostante le dichiarazioni di Fico e tentativi di cercare coperture a sinistra. Sinistra che a sua volta appare attonita, sbigottita, rassegnata e incapace di controbattere. A rendere balbettante la risposta della sinistra è una carenza di visione e di proposta politica, ma anche, al fondo, una carenza di pensiero sulla realtà umana e una mancanza di laicità che porta a credere che il razzismo sia un dato di natura, che la paura verso l’altro sia innata, che tutti saremmo Caino. Una sinistra che preferisce credere invece che pensare finisce per aderire inconsciamente all’ideologia conservatrice della destra. Caro Marco Revelli, se crediamo che la cattiveria umana sia un dato antropologico come possiamo trasformare noi stessi per costruire tutti insieme una società più giusta, democratica e progressista? È tempo di liberarci di questo vecchia ideologia che perfino il vecchio Marx chiamava oppio dei popoli.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola


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Uguaglianza e sinistra. Rileggere Marx

Non è il populismo che sta vincendo in Italia e in Europa. Sta vincendo la destra, quella di sempre, fascista o che ammicca al fascismo. E sta vincendo con l’arma di sempre, il razzismo, quello di Hitler e di Mussolini. Di fronte a tale immane deriva culturale, che ci riporta agli anni più bui e tragici del Novecento, nella componente laica della sinistra, ammesso che tale qualificazione abbia ancora qualche senso, si biascicano poche e confuse formulazioni, ripescate in qualche buio anfratto della storia del pensiero occidentale. Le matrici culturali delle idee che circolano a sinistra sul razzismo sono infatti principalmente due. Da una parte, si dice che il dilagare del razzismo dipenderebbe dall’austerity, dalla crisi economica, dalle nuove povertà e diseguaglianze che ne conseguono. Una sorta di inconsapevole reminiscenza di materialismo storico, quella indigesta visione secondo la quale ogni manifestazione del pensiero umano sarebbe il riflesso delle «condizioni materiali di produzione». Qualcosa in cui Marx, pur portandone qualche responsabilità, non ha, in fondo, mai creduto, riconoscendo a più riprese l’autonomia delle manifestazioni artistiche e il ruolo della soggettività. Di quella soggettività politica e di pensiero, della quale del resto egli era, come teorico della classe operaia, un’espressione vivente. Dopo Marx, è stato Gramsci a seppellire definitivamente il materialismo storico, con una personale elaborazione teorica che poggia sul pieno riconoscimento del ruolo della cultura. Eppure, sotto traccia, per quanto generalmente ripudiato, il materialismo storico sembra continui a fare i suoi danni. La seconda matrice del “pensiero” della sinistra sul razzismo è quella, cha va da Tucidide a Freud, passando per Agostino, Kant, Hobbes, e tanti altri, secondo cui gli esseri umani sono per natura egoisti, gli uni agli altri antagonisti, antisociali, sostanzialmente cattivi. Il razzismo sarebbe una delle tante emersioni di questa natura umana originariamente distorta e perversa. Tale seconda impronta culturale sta anche saldamente alle spalle della così detta componente cattolica della sinistra, per la quale gli esseri umani risultano marchiati dal peccato originale. I cattolici vengono, peraltro, volenti o nolenti, da una tradizione millenaria, nella quale, dai crociati ai conquistadores, coloro che, in ogni luogo del mondo, non si riconoscevano in Cristo, erano meno di animali e potevano essere trucidati. Si dirà che tutto questo è lontano, che di questo i cattolici si sono ampiamente scusati. Ma nel loro…

L’articolo dell’economista Ernesto Longobardi prosegue su Left in edicola


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