Mirafiori Lunapark è il nuovo film del regista Stefano Di Polito. Torinese nascita, figlio di operai della Fiat Mirafiori, Di Polito ha vissuto nel profondo l'influenza della fabbrica sulla sua città, sulle persone e le famiglie che vi ruotavano attorno. A noi di Left ha concesso questa pillola di anteprima. Guardiamola insieme.
Presentato il programma del Festival internazionale del cinema di Venezia 72
Lei crede nell’amore e nell’immediatezza, lui nel libero arbitrio e nella critica del giudizio. Tra i due si accende un conflitto, assolutamente imperdibile, i cui temi sono ceto sociale, milieu, cultura di appartenenza, progettualità esistenziale. I protagonisti parlano molto, negoziano le loro posizioni, o perlomeno ci provano, fino al salto di qualità conclusivo. Non sempre chi è accanto a noi, è realmente presente.
Nel 1990 a Ponticelli, periferia est di Napoli, un gruppo di appassionati di cinema lancia una campagna di mobilitazione: “Salviamo il Pierrot”. Da qui prende il via l’esperienza del circolo Arci Movie, il cineforum che oggi conta più di mille soci, un catalogo con più di 7.500 titoli e ogni anno organizza oltre 120 proiezioni nelle scuole.
Nel 1984 i minatori incrociano le braccia, denunciando la perdita di 20.000 posti di lavoro; la Thatcher lancia compassati proclami sull’urgenza di imporsi come leader forte e manda la polizia a reprimere gli scioperi; il movimento gay sfila a Londra tra i lazzi dei benpensanti. Tre momenti della storia britannica nella commedia brillante Pride di Matthew Warchus.
Al di là della storia e di alcune lentezze, colpisce lo stile visivo, così tenacemente concentrato sulla protagonista, sul suo corpo, ora nervoso e contratto, ora sciolto e sinuoso, sulla compressione fisica delle emozioni rispetto a una vita agra che non le risparmia nulla e insinua il freddo nelle ossa.
Il film si dipana sulla falsariga dell’hard boiled d'ispirazione chandleriana, ma vive di contaminazioni surreali, divertenti e sorprendenti.
Un film di rara bellezza e sospeso incanto che pur trattando il tema dell’orrore jihadista in terra d’Africa lascia senza respiro per le qualità estetiche e la raffinata semplicità del linguaggio.
A Loach è riuscita l’impresa di fare un film storico col tempo presente. Jimmy’s Hall va dritto all’essenziale, non eccede in retorica e non fa sconti a nessuno.
La vicenda è vista con lo sguardo di un regista conservatore, orgoglioso della sua appartenenza, narrata in modo semplice, se non proprio semplicistico, finanziata da un establishment, che preferisce eludere disinvoltamente le proprie responsabilità politiche ed economiche nei conflitti recenti, per privilegiare la retorica del combattente, che agisce per la salvezza dei commilitoni e il bene del suo Paese.